Nella storia dell’umanità, piccoli dettagli, difformità fisiche, morfologie ambigue, orientamenti nella deambulazione sono spesso valsi a consegnare l’etichetta di deviante a questo o a quell’individuo o categoria di individui. Lombroso, ad esempio, era convinto che essere mancini aumentasse le probabilità di commettere reati, come spiego nel mio libro Mancini, mongoloidi e altri mostri. I tatuaggi, oggi diffusissimi e immancabili, un tempo erano “chiaro” segno di delinquenza o propensione a delinquere. Tra i segni che indicano devianza troviamo anche gli insospettabili barba e baffi, ancora oggi di moda, seppure in forma altalenante. Ne troviamo testimonianza in un bel libro recente dello storico Stefano Pivato, dedicato all’uso propagandistico di favole e racconti per l’infanzia:
Nel corso della storia portare barba e baffi ha assunto diversi significati. Generalmente ritenuti espressione della virilità maschile, dall’età moderna in poi quei segni hanno palesato anche appartenenze politiche. Durante l’Ottocento, presso le classi borghesi, stanno a testimoniare l’adesione agli ideali risorgimentali. In anni più tardi quella moda continua come nostalgico legame all’epopea di Garibaldi e di Mazzini e come segno distintivo di appartenenza alla massoneria.
L’identificazione fra barba/baffi e ideali unitari è tale che in alcuni stati preunitari è vietato espressamente esibirli e non è raro ritrovare nelle carte di polizia la certificazione di punizioni che arrivano al loro taglio in pubblico perché considerati manifestazione di rivoluzionarismo.
L’identificazione fra barba, baffi e ribellismo si trasferisce anche sul piano sociale. All’inizio del Novecento infatti, in base all’etichetta, le classi aristocratiche e borghesi ritengono disdicevole il viso non rasato delle classi popolari. Trasgredire quella norma equivale a testimoniare disordine e disobbedienza. Tant’è che un vero e proprio coro di proteste si leva da parte di certe categorie di lavoratori che vivono l’obbligo di rasatura del viso non solo come una castrazione simbolica della virilità ma anche come un’impronta di inferiorità sociale.
Nel Novecento significato sociale e senso politico tendono a confondersi ed esibire quei segni esprime spesso un generico ribellismo all’ordine costituito. E il senso dell’opposizione si accentua allorché nelle varie rappresentazioni, particolarmente attraverso la satira, barba e baffi vengono accentuati a dismisura fino a identificarsi con il personaggio. È il caso di uno dei protagonisti della storia del Novecento, Giuseppe Stalin, che viene riconosciuto con l’epiteto di «Baffone» (Pivato, S., 2015, Favole e politica. Pinocchio, Cappuccetto rosso e la Guerra fredda, Il Mulino, Bologna, pp. 47-48).
Molto dopo Stalin, la barba folta è passata a indicare il “talebano”, il terrorista islamico, la figura deviante per eccellenza di questo inizio di millennio. Contemporaneamente, la barba è tornata di moda presso i giovani occidentali. Che confusione. Come è confusa l’epoca in cui viviamo.