Una notevole, quanto inavvertita, differenza separa le due figure tradizionali delle festività di fine dicembre-inizio gennaio di ogni anno: Babbo Natale e la Befana.
Mentre il primo, lontano discendente di san Nicola, pur attirando incrostazioni e contaminazioni culturali disparate, anche pagane, e pur essendosi perfettamente integrato nel pantheon consumistico natalizio, di cui anzi incarna uno dei più beneamati rappresentanti, è ancora visto di buon occhio dalla Chiesa cattolica, proprio in virtù delle “sante” origini di cui ho detto, la Befana, erede di tradizioni funzionali alle culture contadine di un tempo, e debitrice di lontani culti pagani, demoniaci e stregoneschi, non è mai riuscita a scrollarsi di dosso le fetide scaturigini legate a quei remoti riti di fertilità, incentrati sul culto della dea Diana e di tutta la schiera di esseri femminili che, nel tempo, le si sono affiancate.
Queste presenze sono mutate progressivamente fino ad assumere fattezze decisamente malefiche dai nomi cangianti: Erodiade, Perchta, Holda, Satia, Abendia. Tutte streghe, guide e regine di schiere demoniache, impegnate in vorticosi sabba diabolici.
L’origine “sotterranea” della Befana è evidente anche dal fatto che, tradizionalmente, i suoi regali sono recapitati attraverso il camino: al tempo stesso, condotto astrale che mette in comunicazione casa e cielo, ed elemento associato al culto dei morti, in quanto luogo deputato, secondo la tradizione, alla sepoltura dei morti, in particolar modo dei bambini morti prematuramente.
La befana risente, però, anche di una componente fortemente sociale: l’uso dei doni portati di notte da un essere soprannaturale era un fenomeno più che altro borghese in quanto ai bambini di appartenenza sociale bassa e medio-bassa nessuno portava niente. Traduzione in chiave mitologico-folkloristica di diseguaglianze sociali radicate e insopprimibili.
Ne consegue che la Befana è irrimediabilmente “altra”, a differenza di Babbo Natale che qualcosa di cattolico, di familiare, di “nostro” possiede.
Come ha superato questa differenza la nostra società? Semplicemente omologando nella stessa dimensione consumistica entrambe le figure. Il tanto vituperato consumismo, infatti, se da un lato scortica il rivestimento culturale originario di ogni personaggio sedotto dai suoi effluvi, dall’altro, fornisce una nuova identità, basata su domanda e offerta, produzione e consumo, ma soprattutto di oblio delle origini, condizione primeva per la sua affermazione dominante.
È per questo che non abbiamo paura né dell’obeso e barbuto figuro che risponde al nome di Babbo Natale, né della vecchia, bitorzoluta e sgraziata figura che tutti chiamano Befana. È il consumo che li fa belli, che li fa apparire gradevoli, se non desiderabili. È il profumo delle merci che trasduce il loro cattivo odore in fragranza inebriante.
Fonte:
Corvino, C., Petoia, E., 2004, Storia e leggende di Babbo Natale e della Befana, Newton Compton Editori, Roma.