In un post di qualche anno fa, avevo fatto notare come l’introduzione di una nuova invenzione susciti spesso timori di possibili utilizzi criminali, il che non è altro che una variante dell’atteggiamento misoneistico che colpisce irrefrenabilmente chiunque abbia timore di ciò che minaccia l’ordine delle cose ratificato dal tempo.
All’indomani dell’invenzione della bicicletta, ad esempio, il decano della criminologia italiana, Cesare Lombroso si diceva convinto che la bicicletta fosse il veicolo più rapido sulla strada della delinquenza perché “la passione del pedale trascina al furto, alla truffa e alla grassazione”. Per Lombroso, la bicicletta era sia causa che strumento del crimine e consentiva di tirar fuori l’anima “criminaloide” che giace in ognuno di noi. Farsi un giro in bicicletta era il modo migliore per acquisire una predisposizione al delitto e ogni tipo di vizio. Una convinzione che ogni nostro contemporaneo giudicherebbe incredibile, ma che testimonia di come, di fronte alle novità, gli scienziati spaccino spesso per sapere ciò che è solo una loro paura.
I timori misoneistici non riguardarono solo i criminologi, ma anche i medici. Il lessico medico è stato spesso utilizzato per trasmettere contenuti moralistici. Quando le automobili cominciarono a diffondersi all’inizio del Novecento, i medici misero in guardia gli automobilisti dal non superare i 40-60 chilometri orari. In caso contrario, avvertivano, il guidatore sarebbe stato sottoposto
a una tensione eccessiva, causata dalla attiva sorveglianza della strada, dalla ascoltazione dei rumori della vettura, dalla necessità di mantenere con mano ferma la direzione del veicolo, dalla tema di guasti e dal senso di responsabilità che egli ha verso i suoi compagni di viaggio. A tutto questo si aggiunga la sensazione fisica prodotta dalla velocità medesima, che non sempre è piacevole; il conducente sentendosi la testa in avanti, mantenendo sempre contratti i muscoli del collo; di più egli soffre di un senso intenso di oppressione all’addome e al torace prodotto dalla pressione dell’aria. A tali velocità per poco che insorga un ostacolo imprevisto sulla strada l’arresto della vettura diventa difficile, potendo un colpo di freno troppo brusco produrre un ribaltamento. Inoltre per errori di apprezzamento diventa difficile il calcolo del rallentamento nelle curve, dimodoché la vettura può venire facilmente sbalzata fuori dalla strada. A tale andatura è difficile poter leggere anche i cartelli indicatori ed è assolutamente impossibile al conducente poter scambiare parola coi compagni di viaggio. Tutto ciò produce in lui una grande tensione nervosa che in breve conduce alla spossatezza, la quale spesso è da ricercarsi quale causa prima di gravi accidenti automobilistici. Invece mantenendo una razionale velocità il turista può veramente godere delle grandi gioie che fornisce l’automobile (Boatti, G., 2006, Bolidi. Quando gli italiani incontrarono le prime automobili, Mondadori, Milano, p. 96).
Tensione nervosa, eccesso di stimoli, alterazioni delle sensazioni fisiche sono solo alcuni dei “sintomi” indotti dalla guida delle automobili. Il nuovo non poteva che generare patologie, deviazioni, bizzarrie del comportamento. Come del resto, avviene ancora oggi. Basti pensare ai ricorrenti avvertimenti allarmistici strillati da psichiatri ed esperti di ogni tipo nei confronti di ogni nuovo Social, soprattutto se le cronache, per qualche motivo, associano a uno di essi un fatto criminale.
Tutto è potenzialmente foriero di rischi, pericoli, catastrofi di ogni genere, purché sia sufficientemente nuovo e “inaudito”. Si tratta di un atteggiamento istintivo, spontaneo, evolutivo che, tuttavia, criminologi e medici dovrebbero riuscire a evitare. Purtroppo, riescono spesso solo a nasconderlo dietro una coltre di termini tecnici.