Ho dedicato un libro al curioso fenomeno dell’apofenia, termine coniato dallo psichiatra tedesco Klaus Conrad nel 1958 per riferirsi alla percezione spontanea di connessioni significative tra fenomeni che non hanno alcuna relazione tra loro. Sono esempi di apofenia la credenza che vi sia un legame tra la presenza di un gatto nero e il compiersi di eventi infausti o il ritenere che la propria vita sia stata decisa dal verificarsi di una “incredibile” coincidenza. L’apofenia è particolarmente presente in situazioni di ansia e incertezza, o in situazioni che non è possibile controllare dipendendo da fattori esterni. Esempi di apofenia in situazioni del genere provengono dal mondo del calcio. È noto come il calcio non sia semplicemente uno sport, ma coinvolga forti identificazioni, generi appartenenze simboliche emotivamente potenti, sia investito da interessi economici sempre più grandi, produca discorsi e retoriche che si trascinano per mesi e anni, ma anche miti e leggende metropolitane. Queste caratteristiche creano un terreno favorevolissimo al sorgere di apofenie di vario tipo, come è evidente dall’esempio seguente.
Il 28 aprile 2018 si gioca l’incontro di calcio Inter-Juventus, decisivo ai fini dell’assegnazione dello scudetto della stagione 2017-2018. La Juventus guida il campionato con un solo punto di vantaggio sul Napoli e una sconfitta o un pareggio dei bianconeri consentirebbero ai partenopei di superarla in classifica. Inoltre, Inter e Juventus hanno una tradizione di forte rivalità calcistica. Insomma, sulla partita aleggiano forti attese, che coinvolgono, per vari motivi, i tifosi di tutta l’Italia. Gli antagonismi sono intensi; la gara sentitissima. La partita termina con il punteggio di 3 a 2 a favore della Juventus, una vittoria che, associata alla sconfitta del Napoli contro la Fiorentina (3-0) della domenica successiva, spiana la strada del settimo scudetto alla squadra di Torino. Subito, però, si accendono le polemiche. In particolare, viene contestata la mancata espulsione di un giocatore della Juventus, che avrebbe, a detta dei tifosi napoletani e interisti, pesantemente condizionato l’esito dell’incontro. La diatriba è così rovente che presto si carica di veleni e sospetti che innescano associazioni sorprendenti. Si diffonde la voce che l’arbitro dell’incontro, Daniele Orsato, sia stato in gioventù un ultras juventino; voce presto soppiantata da altre, secondo cui a essere ultras juventini sarebbero prima il fratello, poi il cugino. Spuntano filmati accusatori che propongono il labiale di un altro arbitro, Tagliavento, sorpreso a bordo campo a dire: «Nel recupero vinciamo!» (la Juventus aveva segnato il goal decisivo nei minuti finali), in realtà travisamento della frase «Quanto recupero facciamo!» alla fine del primo tempo. Uno scambio tra l’allenatore della Juventus Allegri e lo stesso Tagliavento (che aveva segnalato a Orsato la sua espulsione e che lo aveva espulso altre volte in carriera): «Come mi sono comportato stavolta? Promosso?» diventa per gli accusatori «Orsato promosso!». La copertura mediatica dell’evento è eccezionale e le immagini, proposte e riproposte, alimentano ulteriori dicerie, recriminazioni, rancori. In particolare, sorprende il numero di connessioni “significative” rilevate da tifosi, giornalisti, opinionisti fra eventi tra loro indipendenti. Una esorbitante fenomenologia apofenica che durerà per settimane e settimane a dispetto di ogni logica e buon senso, e che contribuirà a creare un atteggiamento complottistico in cui niente è casuale, ogni errore arbitrale è intenzionale e tutto presenta connessioni significative con tutto. Insomma, in determinati ambienti, caratterizzati da forti interessi in gioco, accese rivalità, enorme incertezza e aleatorietà, la propensione apofenica può raggiungere dimensioni cospiratorie e paranoiche, che varrebbe la pena approfondire con gli strumenti della psicologia e della sociologia. Potrebbe essere un nuovo campo di studi per chi è interessato a questo straordinario fenomeno psicologico.