A cosa serve il calcio

GreenLightLetterAll’indomani dell’attacco di Pearl Harbor del 7 dicembre 1941 e della decisione degli Stati Uniti di prendere parte alla Seconda guerra mondiale, il giudice Kenesaw Mountain Landis, noto come il “Commissario del baseball”, inviò al Presidente Roosevelt, nel gennaio 1942, una lettera chiedendo lumi sulla opportunità di sospendere eventualmente il campionato di baseball per tutta la durata della guerra. La questione non era di poco conto. Il baseball era già allora uno sport estremamente popolare, anzi il passatempo preferito degli americani, e si temeva che la sua sospensione avrebbe causato profondo malumore nel popolo statunitense, già afflitto dall’imminente partecipazione al conflitto. Il 15 gennaio, Franklin Roosevelt, grande appassionato di sport, rispose a Landis con quella che è passata alla storia come la “lettera del semaforo verde” (“green light letter”). In sostanza, Roosevelt raccomandò che il baseball continuasse (come, in effetti, avvenne), riconoscendo che da esso i soldati americani avrebbero tratto svago e distrazione, pur concordando che i giocatori arruolabili dovessero partire per il fronte al pari di tutti gli altri giovani.

Questa lettera (qui da me tradotta) assume ancora oggi un importante significato sociologico. Spesso, ci si domanda quale sia l’utilità sociale del calcio (e dello sport in generale): alcuni critici di ispirazione vagamente marxista ne denunciano le proprietà oppiacee (simili a quelle della religione), altri affermano che il calcio è uno sport per bifolchi decerebrati che, dedicandosi a questo sport insulso, si privano della facoltà di accedere alla vera cultura (libri, teatro, musei ecc.); altri ancora ne mettono in evidenza i limiti morali, denunciano gli “scandalosi stipendi” dei giocatori e le loro dubbie abilità (“Danno solo quattro calci a un pallone”).

La verità è che il calcio, come altri sport, è da sempre un grande gemmatore di significati: costruisce e aggrega fedeltà e identità, struttura il tempo libero di milioni di persone, produce discorsi e confronti, definisce stili di vita e modi di vedere il mondo, plasma l’immaginario collettivo di interi popoli, suscita emozioni spesso ineguagliabili, crea effervescenza collettiva in società stanche e burocratizzate, genera eventi locali e globali puntualmente calendarizzati, offre opportunità lavorative estremamente differenziate, contribuisce al PIL nazionale, orienta investimenti e fatturati e, infine, perché no?, fornisce sollievo a masse umiliate dalla guerra. Le scienze sociali hanno da tempo colto il carattere di “fatto sociale totale” (come diceva l’antropologo Marcel Mauss) del calcio e dello sport, evidenziando tutta la complessità di un fenomeno che non è riducibile ai luoghi comuni che lo circondano. A proposito, ma perché una delle oleografie più diffuse sul calcio vuole che i calciatori sappiano “solo dare quattro calci a un pallone”, mentre degli attori nessuno commenta che “dicono un mucchio di scemenze su un palcoscenico” o dei ballerini nessuno osserva che “sanno solo agitare qua e là le gambe a caso”?

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Una risposta a A cosa serve il calcio

  1. ITALIANI FALLITI NELL'ANIMA scrive:

    Perché non voglio che mio figlio giochi a calcio!

    16 dicembre 2015 By Giovanna Rossi 8 Commenti

    Quando aveva 4 anni (forse meno) mio figlio Alberto ha iniziato a dire che voleva giocare a calcio, come credo la gran parte dei bambini italiani. Nessuno in famiglia è particolarmente tifoso, tutt’altro. Io meno di tutti. Il fascino del calcio credo che qui in Italia si respiri nell’aria e ha il volto del successo, delle copertine patinate, della fama. Ricordo che a quel tempo mandai il mio compagno col bambino ad informarsi, sapendo bene che era troppo piccolo per iniziare. Il primo NO lo gestii di sponda, sperando che la sua passione passasse, che sarebbe finita lì.

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    L’anno dopo è tornato alla carica, poi l’anno dopo ancora. Il mio era sempre un NO. Nel frattempo l’ho mandato a nuoto, judo, basket. Perché?

    perché credo che il compito di ogni genitore sia trasmettere ai figli i valori in cui crede, qualunque essi siano, lasciandogli la libertà di trovare i suoi crescendo. Il calcio non rappresenta nessuno dei miei valori;
    perché in Italia il calcio è lo sport di quelli che si schiantano sulle loro auto di lusso senza rispettare alcuna regola e si tagliano i capelli come dei perfetti idioti;
    perché il calciatore è lo stereotipo dell’uomo furbo e fortunato, che pur non studiando si è trovato ricco e famoso;
    perché i calciatori non si preoccupano mai di essere un esempio per le giovani generazioni e invece hanno puntati addosso milioni di occhi che avrebbero bisogno di un esempio;
    perché l’ambiente dello stadio mi sembra il facile sfogo di una società allo sfascio, che non mi piace e che ogni giorno cerco nel mio piccolo di cambiare;
    perché nel calcio sembra non esistere il rispetto dell’avversario e l’arbitro è sempre cornuto;
    perché i calciatori si comportano da cerebrolesi (con tutto il rispetto per i cerebrolesi!) quando segnano un gol, come se il talento fosse collegato a doppia mandata con la stupidità;
    perché non volevo sentire genitori seduti come me sugli spalti urlare cose insulse e infamanti contro i propri figli, quelli altrui, gli arbitri, gli allenatori e tutta la progenie per generazioni;
    perché i calciatori fanno scene da melodramma quando subiscono un fallo, ma soprattutto perché fanno le stesse scene quando non lo subiscono davvero;
    perché nella nostra mente sembra esserci spazio per un solo sport e noi italiani abbiamo scelto quello che somiglia di più al peggio di noi!
    Qualche giorno fa mio figlio è stato convocato alla sua prima partita e ha segnato il suo primo gol. Vedere il suo sguardo felice e fiero cercare il mio è stato una emozione fortissima.

    Quindi tuo figlio ora gioca a calcio!?!?!

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    Sì, mio figlio quest’anno gioca a calcio. Ho cambiato idea? Assolutamente no. Ho scelto di assecondare una passione che non volevo diventasse mitica, ma soprattutto mi sono imposta di non lasciare che una mia idea potesse precludere un suo sogno.

    A qualche mese dall’inizio della stagione posso dire:

    che lui continua a dimostrare una dedizione totale verso gli allenamenti, nonostante sia l’ultimo arrivato e secondo me non abbia vita facilissima;
    che il suo allenatore è un rigoroso della disciplina e dell’autonomia (spero li aiuti a non diventare come i loro idoli frignoni) e mi sembra gli voglia un gran bene (questo basta a placare di molto il mio animo polemico di mamma sui generis);
    che i genitori sono ridicolissimi quando commentano gli allenamenti come se si trattasse della finale di Champion (se dovessi iniziare a farlo anche io uccidetemi);
    nel complesso pensavo peggio, ma non abbasserò mai la guardia, non gli farò mai fare dal barbiere i disegni nella rasatura dei capelli e prima di appendere il poster di qualche calciatore milionario e decerebrato alla porta della sua cameretta dovrà passare sul mio cadavere!
    bimbo che calcia

    Detto questo… finché nei suoi occhi brillerà il fuoco di una passione (piccola come lui ma già grande) e finché questa passione sarà il motore per migliorare sé stesso e superare ostacoli, io sarò lì sugli spalti, ma soprattutto prometto che pulirò con cura dopo ogni allenamento gli scarpini (a proposito… c’è una cosa più odiosa di pulire gli scarpini?!

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