Quanto è diffuso l’effetto alone, ossia la tendenza a trarre indicazioni sul carattere complessivo di un individuo a partire dalle impressioni ricavate dall’esposizione a un solo tratto della sua personalità?
Moltissimo, a giudicare dalle persone che incontriamo nella nostra vita e che proiettano il loro alone su di noi.
I genitori sono i primi a essere investiti dall’effetto alone. Poiché gli adulti si prendono cura di noi e sanno cose che noi non sappiamo, pensiamo che debbano sapere tutto e che siano, praticamente, onnipotenti, almeno nelle prime fasi della nostra vita.
Subiamo l’effetto alone anche da parte dei nostri insegnanti ai quali attribuiamo caratteristiche di saggezza e sapienza ben al di là delle conoscenze che essi effettivamente possiedono.
Ragazze e ragazzi di cui ci innamoriamo possiedono per noi caratteristiche eccezionali che ce li fanno considerare superiori a quanto siano effettivamente. Del resto, già Freud insegnava che l’innamoramento consiste in una sopravvalutazione della persona amata.
La bellezza fisica delle persone che incontriamo nella vita ci induce spesso a pensare che a essa corrispondano qualità straordinarie in termini di sensibilità e intelligenza.
Attori e cantanti che ammiriamo suscitano in noi aspettative singolari, che ci portano a ritenere che le loro capacità si estendano ben al di là del campo recitativo o canoro, tanto che rimaniamo delusi se, nella vita di tutti i giorni, si dimostrano semplicemente umani.
Ugualmente, tendiamo a ritenere che i “capi” che incontriamo nel mondo del lavoro debbano possedere capacità di leadership che eccedono quelle attese da un punto di vista lavorativo.
Stesso discorso vale per politici, amministratori, scienziati e personalità di vario genere da cui siamo attirati e ai quali tendiamo ad attribuire caratteristiche positive trasversali.
Ma perché l’effetto alone è tanto importante e pervasivo?
Secondo Amanda Montell,
dietro l’effetto alone c’è un meccanismo di sopravvivenza. Storicamente, allearsi con una persona fisicamente robusta o attraente era una strategia adattiva vincente, e in genere era sensato presumere che una buona qualità ne implicasse altre. Ventimila anni fa, se si incontrava una persona alta c muscolosa, se ne poteva ragionevolmente dedurre che mangiasse più carne degli altri e fosse dunque con ogni probabilità un buon cacciatore – in breve, uno che era meglio avere dalla propria parte. Ed era altrettanto sensato ipotizzare che una persona con un viso simmetrico e i denti sani fosse riuscita a evitare di restare sfigurata a causa di battaglie perse o attacchi da parte di animali, e rappresentasse quindi un altro valido riferimento. Oggi, scegliere una persona da prendere a modello aiuta a costruire la propria identità, e quando si tratta di individuare l’esemplare giusto, abbiamo imparato a decidere di pancia. In fondo, non sarebbe di un’inefficienza spaventosa impiegarci una settimana per valutare un potenziale mentore, o per mettere insieme un intero gruppo di esperti altamente qualificati – uno per la carriera, uno per l’ispirazione creativa, uno per i consigli di moda? Scegliere l’unica figura di riferimento per tutto, sulla base di generalizzazioni affrettate ma nel complesso di buon senso, significa semplicemente usare al meglio il limitato budget psicologico che si ha a disposizione. Et voilà, ecco a voi l’effetto alone (Amanda Montell, 2024, Scusa, ho Mercurio retrogrado. Viaggio nell’era del pensiero magico, ROI Edizioni, Milano, p. 20).
Se così stanno le cose, non sorprende che l’effetto alone sia tanto rilevante per noi. Da esso dipende la nostra stessa sopravvivenza. E, allora, prima di rubricarlo come ennesima illusione che ottenebra la nostra mente, faremmo bene a coglierne il carattere evolutivo che ci aiuta a far fronte a quell’avventura così singolare che è la vita.
Se volete saperne di più sull’effetto alone, vi invito alla lettura del mio Aloni, stregoni e superstizioni, che dedica l’intero primo capitolo a questo importante meccanismo psicologico, con la traduzione dell’articolo di Edward L. Thorndike, che per primo ha introdotto il concetto nel lessico delle scienze umane.