Il “dilemma del rosario”

Quando osserviamo un devoto recitare il rosario, siamo tentati di credere che non vi sia nulla di più semplice. Basta ripetere in continuazione un determinato numero di formule e il gioco è fatto. Se c’è una facoltà cognitiva in gioco, questa è la memoria. Per il resto, la recitazione ci appare come un semplice – forse anche noioso – meccanismo ripetitivo.

In realtà, recitare il rosario è un’operazione complessa. Questa devozione presuppone che il credente reciti una serie di orazioni e contemporaneamente mediti su alcuni misteri della vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Al tempo stesso, è necessario formulare un’intenzione: chiedere una grazia, imitare una virtù o distruggere un peccato. In altre parole, il fedele, per recitare correttamente il rosario, deve contemporaneamente fare tre cose diverse, dedicando a ognuna la propria fervida e completa attenzione. Ma è umanamente possibile dire una cosa, meditarne un’altra e farne ancora un’altra con la medesima energia mentale?

Per la psicologia, il credente che recita il rosario si trova di fronte a un compito di multitasking che richiede che la medesima attenzione sia dedicata con la medesima intensità a ogni attività. Il problema è che le risorse attentive sono limitate e le attività sono costrette a entrare in competizione per accaparrarsi quanta più energia possibile. La conseguenza è che, a meno che alcune attività non siano completamente automatizzate, non è possibile svolgerle simultaneamente con la stessa intensità. Sarà necessario, allora, distribuire la propria attenzione in maniera differenziale privilegiando alcune attività a scapito di altre, così che necessariamente alcune di esse non potranno essere elaborate con il medesimo livello di efficienza.

Recitare il rosario, allora, assomiglia ad altre azioni complesse che siamo chiamati a eseguire nella vita quotidiana. Pensiamo alla guida. Quando si guida, bisogna prestare attenzione a destra, sinistra, dietro e davanti, cambiare le marce, abbassare la frizione, accelerare, frenare, osservare i segnali stradali e gli altri automobilisti. E tutto questo quasi in contemporanea. A queste attività aggiungiamo spesso l’ascolto della radio, la chiacchierata con l’amico, l’uso dello smartphone ecc. Un compito di multitasking quotidiano non esente da pericoli. Non a caso l’uso dello smartphone in auto è vietato: esso compromette l’attenzione in un contesto che, invece, ne richiede tanta.

Oppure, pensiamo agli arbitri di calcio che, nel valutare una posizione di fuorigioco, devono tenere conto simultaneamente del giocatore che calcia la palla, della posizione del calciatore che la riceve e di quella dei difensori. Non è un caso che fare l’arbitro sia tanto difficile ed esponga a numerosi errori. Questa difficoltà, però, non è riconosciuta dal tifoso che attribuisce sistematicamente gli errori dell’arbitro a intenzioni malevole.

Come risolvere quello che potremmo definire il “dilemma del rosario”? Semplice. Dedicando poca energia attentiva a uno dei compiti che esso prevede o trascurandolo addirittura. Si spiega così la caratteristica monotonia ripetitiva, strascinata e mnemonica della recita delle orazioni. O il fatto che, ad esempio, il credente non formuli alcuna intenzione, limitandosi alle preghiere e alle meditazioni. La meccanicità oratoria del rosario è una funzione cognitiva che serve a far fronte alla complessità delle richieste che tale orazione avanza al credente. In un certo senso, è un meccanismo di difesa, non dissimile da quello che adottano gli automobilisti quando guidano e che consiste nel retrocedere tra le abitudini meccaniche comportamenti che hanno acquisito gradualmente durante le lezioni di guida. L’abitudine anestetizza la complessità di alcune azioni, facendole diventare, appunto, consuete.

Lo stesso accade in tante altre condotte della vita ordinaria, anche se non ce ne accorgiamo.

La meccanicità della recita del rosario è l’omaggio che i limiti dell’essere umano tributano al divino, la testimonianza che le esigenze della religione non permettono di scavalcare i confini della nostra mente ordinaria. Detto altrimenti, è la prova della nostra finitezza di fronte alla smisuratezza del numinoso.

Per saperne di più sulla complessità psicologica e sociologica del rosario, rimando al mio: La Sacra Corona. Storia, sociologia e psicologia del rosario (Meltemi Editore).

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