Potrebbe apparire bizzarro alla nostra sensibilità porsi un interrogativo del genere. Per noi contemporanei, la povertà è un problema a cui porre rimedio, se possibile estirpandola, non certo una condizione utile a qualcuno.
Eppure, nel Medioevo, ma in realtà fino all’epoca moderna, era diffusa l’idea che fare la carità ai poveri, donare loro elemosine, fosse di utilità al (ricco) benefattore, che ne avrebbe tratto vantaggio al momento del trapasso, quando, trovandosi al cospetto di san Pietro, avrebbe trovato la strada spianata per il Paradiso in virtù del suo comportamento caritatevole.
Secondo questa concezione, i poveri, allora, «sono necessari ai ricchi per salvarsi. Quindi, deve sempre esservi un povero da assistere, perché ciò consente al ricco di guadagnarsi la vita eterna tramite la carità».
Nella Vita di San Eligio si legge addirittura che «Dio avrebbe potuto creare tutti gli uomini ricchi, ma ha voluto che nel mondo ci fossero anche i poveri, per offrire ai ricchi un’occasione di riscatto dalle loro colpe». Corollario di questa concezione è che poveri e ricchi sono ruoli funzionali all’ordine sociale, destinati a non sparire mai affinché i ricchi trovino la loro salvezza ultraterrena. La povertà è una condizione inestirpabile e immutabile, gradita a Dio, a cui non bisogna porre rimedio, se non tramite l’elemosina.
L’elemosina diventa, dunque, un fattore di equilibrio sociale e il suo elogio «contiene in sé non solo la prospettiva di salvezza per i ricchi, ma una giustificazione della ricchezza stessa, una sua razionalizzazione ideologica». In un colpo solo, così, viene a crearsi un appiglio di salvezza per il ricco e a trovare fondamento ideologico la ricchezza delle classi dominanti. Un colpo da maestro, da prestigiatore, quasi, che priva di ragione qualsiasi rivendicazione ugualitaria nel nome del gradimento di Dio per la salvezza di pochi a scapito di molti. In realtà, i (molti) poveri hanno possibilità di salvezza proprio in quanto poveri perché le porte del Cielo sono sempre aperte a questi. L’importante è che restino poveri e non avanzino pretese “mostruose”.
Qualcuno potrebbe obiettare che tale concezione della povertà è roba da Medioevo. Ma si leggano le seguenti parole, pronunciate da papa Francesco durante la III Giornata Mondiale per i Poveri, nel 2019:
I poveri ci facilitano l’accesso al Cielo: per questo il senso della fede del Popolo di Dio li ha visti come i portinai del Cielo. Già da ora sono il nostro tesoro, il tesoro della Chiesa. Ci dischiudono infatti la ricchezza che non invecchia mai, quella che congiunge terra e Cielo e per la quale vale veramente la pena vivere: l’amore.
Ecco: “i poveri ci facilitano l’accesso al Cielo”. Come non notare che questa frase può essere pronunciata solo da chi fa parte dei ricchi, dei potenti, dei possidenti che vedono il mondo solo dal loro egocentrico punto di vista? Ieri come oggi.
Provate voi a essere poveri e diteci poi se vi soddisfa l’idea di essere al mondo solo perché altri si salvino!
Fonte delle citazioni: Ciconte, E., 2025, Classi pericolose. Una storia sociale della povertà dall’età moderna a oggi, Laterza, Roma-Bari, pp. 29-31; 33.