Ossessionati e allarmati dal cambiamento climatico e i suoi effetti, accogliamo con sgomento le ricorrenti notizie su uragani, alluvioni e inondazioni che sembrano colpire il pianeta con ferocia inusitata. In particolare, siamo terrorizzati quando telegiornali e quotidiani ci dicono che gli effetti di tali fenomeni climatici sono sempre più negativi e provocano danni, sociali, economici e in termini di vite umane, sempre più elevati.
Pensiamo ai danni causati dai famigerati uragani che, periodicamente, affliggono le coste della Florida o le tremende alluvioni che hanno devastato, anche di recente, l’Emilia-Romagna.
Di fronte a tali catastrofi, la tentazione di collegare eventi avversi “estremi” e cambiamento climatico è fortissima. Anzi, nei mass media e nell’immaginario collettivo, il collegamento è dato per scontato tanto che, a ogni nuova alluvione, viene chiamata in causa la “verità” di tale collegamento.
Eppure, questa idea – ci dice Bjørn Lomborg, ricercatore danese da anni dedito a smontare gli allarmismi in fatto di ambiente – è fondamentalmente errata. Scrive Lomborg:
La realtà è che questi eventi meteorologici, sia per numero che per gravità, sono rimasti invariati o addirittura sono diminuiti nel corso dell’ultimo secolo […]. Tuttavia, il costo di questi eventi sta diventando molto più elevato, ma per ragioni che ben poco hanno a che vedere con il clima. Se un uragano o un’alluvione avessero colpito la Florida scarsamente popolata del 1900, avrebbero provocato danni relativamente modesti. Da allora, però, la popolazione costiera di questo Stato è cresciuta di sessantasette volte. Pertanto, un uragano o un’alluvione di forza simile che colpisse la Florida ricca e densamente popolata del 2020 causerebbe danni nettamente maggiori. Il costo più elevato non è dovuto quindi al fatto che gli uragani siano cambiati, ma al fatto che a mutare è la società.
Questo fenomeno è noto in letteratura con il nome di expanding bull’s-eye effect (‘effetto centro del bersaglio in espansione’) e consiste, appunto, nel fatto che impatti climatici simili provocano danni diversi in ragione del numero di persone coinvolte e dei beni colpiti. Dal momento che, nei decenni, determinate regioni sono divenute sempre più popolose e sono aumentati gli “oggetti” (case, uffici, scuole ecc.) in esse presenti, eventi climatici simili producono danni sempre più ingenti a persone e cose.
Come detto, ciò viene solitamente interpretato dai media e dal senso comune (che è spesso foraggiato dagli stessi media) come una maggiore pericolosità dei fenomeni climatici attuali, mentre la “colpa” risiede nella diversa configurazione sociale delle zone colpite.
Dice ancora Lomborg: L’effetto centro del bersaglio in espansione
può essere immaginato un po’ come un bersaglio per il tiro con l’arco, i cui anelli (che rappresentano la densità di popolazione) ci dicono quante persone e beni rischiano di essere colpiti da una freccia immaginaria, ossia da un disastro naturale […]. Con il tempo, questi anelli si allargano: ciò significa che diventa sempre più probabile che una freccia riesca a colpire il bersaglio, ovvero aumentano i rischi di una catastrofe enorme.
Ciò significa che, nel futuro, potrebbero verificarsi disastri dalle conseguenze rovinose, non per l’azione diabolica di effetti climatici inusitati, ma per le trasformazioni a cui vanno incontro le società umane. Questa osservazione dello studioso danese contribuisce a ridurre di molto l’allarmismo catastrofistico di molti ecologisti contemporanei che, anche grazie alla complicità dei media e all’attualità dei temi ambientali, promuovono profezie calamitose sulla fine del pianeta, destinato, a loro avviso, a implodere in tempi brevi sotto l’azione di fattori ambientali apparentemente inarrestabili.
Lomborg non ha dubbi sul fatto che sia in atto un cambiamento climatico e che l’umanità contribuisca a questo stato di cose. Non è un negazionista. Ritiene però che non sia giustificato l’allarmismo che circonda il tema, anche se viviamo in un’epoca governata dalla paura per ciò che ci attende nell’avvenire; paura sovente alimentata da interessi politici che traggono profitto da una enfatizzazione degli scenari tragici causati dal clima.
Il profetismo apocalittico è un tema che accompagna da sempre i movimenti ecologisti, ma è profondamente sbagliato. Si può dire che esso costituisce un problema al pari degli effetti nefasti del cambiamento climatico.
I problemi dell’ambiente sono troppo importanti perché siano rivestiti sempre con gli stracci sporchi degli oracoli della “casa che brucia”. L’effetto “centro del bersaglio in espansione” contestualizza i fenomeni climatici estremi, comprimendone la portata allarmistica.
Credo che, anche riguardo al clima, sia necessario lo sguardo dello scettico. Non perché i cambiamenti climatici non siano veri, ma affinché siano colti nella loro corretta proporzione.
Fonte: Lomborg, B., 2024, Falso allarme. Perché il catastrofismo climatico ci rende più poveri e non aiuta il pianeta, Fazi Editore, Roma, pp. 58-60.