Qualche giorno fa, BUTAC, il sito del debunker Michelangelo Coltelli, ha scritto sulla diffusione in rete di richieste di (finte) preghiere urgenti di intercessione a favore di destinatari di volta in volta mutevoli.
L’occasione è stata la segnalazione di una preghiera che sarebbe stata sollecitata dalle monache di clausura benedettine di Ghiffa, comune della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, e il cui contenuto è il seguente:
Richiesta di preghiere urgente: per una coppia, si chiamano Daniele e Cristina.
Daniele facendo retromarcia ha investito la figlia di 2 anni, che è morta.
La madre vuole suicidarsi e lui è impazzito.
Grazie per le vostre preghiere. Dio vi benedica
Per favore rivolgetevi ai gruppi dei Consacrati, degli Adoratori e di tutti gli Intercessori.
Che Dio vi ricompensi
Annamaria De Santis
Lo stesso BUTAC osserva che le monache benedettine hanno smentito di avere mai richiesto preghiere del genere e conclude che «la diffusione di messaggi falsi come questo alcune volte serve per testare la velocità con cui uno specifico testo può viaggiare sui social network basandosi sul “passaparola digitale”; studi di questo genere vengono portati avanti sia da ricercatori interessati al fenomeno della disinformazione sia da truffatori che cercano nuovi spazi dove andare a caccia di potenziali vittime».
Tutto ciò è ovviamente vero, ma, a mio avviso, i motivi per cui questo genere di richieste ha un suo seguito, social e non solo, sono anche altri.
Pregare insieme ci fa sentire parte di una collettività di persone, che non sono più individui, ma un gruppo con una finalità comune e il medesimo “strumento” per raggiungere quella finalità. La preghiera collettiva costituisce un rito che crea effervescenza, appartenenza e senso di comunanza. Ciò avviene anche se la preghiera collettiva non avviene in presenza.
Pregare insieme rende la preghiera più forte e la dota di un’efficacia che la preghiera individuale non ha. Questa convinzione è, ad esempio, alla base della credenza secondo cui il rosario comunitario è più efficace di quello individuale. L’unione fa la forza, si potrebbe dire, anche se chi prega con noi non è visibile in quanto collegato solo in maniera virtuale.
Ancora, c’è l’idea che, attraverso la parola, si possa raggiungere uno scopo concreto, cosa che rimanda al pensiero magico-superstizioso secondo cui nominare il mondo ha un effetto su di esso. Alla base della credenza nella forza della preghiera è la credenza millenaria che le parole di chi prega abbiano un effetto “materiale” sull’ambiente circostante, sia direttamente, attraverso l’azione propria delle parole sul mondo, sia indirettamente, attraverso la “convocazione” della divinità che interviene per produrre l’effetto per il quale è stata invocata.
Infine, agisce subdolamente la credenza nell’efficacia intercessoria della preghiera. Poiché intercedere significa pregare per altri e, quindi, per un obiettivo altruistico, si crede che la preghiera “per altri” sia più efficace di quella egoistica (“Pregate per la mia salute!”), come se i maggiori meriti morali dell’altruismo disinteressato rispetto all’egoismo interessato garantissero automaticamente la maggiore potenza della preghiera intercessoria rispetto a quella per la propria salvaguardia.
È per questi motivi (ma anche per altri) che impazzano, anche al di fuori dei social, le richieste di preghiere. Lo fa il papa, lo fanno le “veggenti” di Medjugorie, lo fa il sacerdote durante la messa domenicale, lo fanno i frequentatori dei social.
“Pregate, pregate, pregate” è la litania che da tempo immemore ci sentiamo ripetere in continuazione dalle autorità religiose. La preghiera dovrebbe essere una forma di comunicazione con la divinità. In realtà, sembra assolvere più che altro a umani, troppo umani bisogni psicologici e sociali.
Per saperne di più sulle funzioni psicologiche e sociali della preghiera e, in particolare, del rosario, rimando al mio ultimo libro La Sacra Corona. Storia, sociologia e psicologia del rosario.
Buona lettura.