“Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”

È considerata l’espressione più alta dell’etica, la summa di ogni possibile morale sociale, la quintessenza del retto agire, la forma più alta di reciprocità. L’hanno celebrata filosofi come Thomas Hobbes (1588-1679), John Locke (1632-1704), Immanuel Kant (1724-1804), John Stuart Mill (1806-1873), Hans Küng (1928-2021).

Le religioni, a dispetto di ogni differenza, concordano unanimemente sul suo valore. La “Regola aurea” (Golden Rule, come la chiamano gli anglofoni) è presente nella Grecia antica, nella Roma antica, nel confucianesimo, nell’ebraismo, nel buddismo e nell’Islam.

E, naturalmente, nel cristianesimo. Lo ricordano gli evangelisti Luca e Matteo. Nel vangelo di quest’ultimo si legge chiaramente:

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti (Matteo 7, 12).

«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Matteo 22, 36-40).

E Luca ribadisce:

Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro (Luca 6, 31).

Si prova un enorme timore riverenziale al cospetto di un fronte morale così compatto. Se tanti pensatori e leader religiosi la elogiano, come potremmo mettere in dubbio il valore etico della “Regola aurea”? “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” ha anche una versione negativa: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, forse anche più citata della prima. Insieme, costituiscono massime divenute principi etici fondamentali anche per il senso comune, per il quale sono regole inscalfibili, solide e prive di punti deboli. Del resto, le citano decisori politici e mass media, libri di testo scolastici e persone comuni. Al limite, da un punto di vista morale, possono forse esigere troppo dagli esseri umani. Fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi non è affatto facile. E se pure ci riuscissimo una volta, non vuol dire che ci riusciremmo sempre. In questo senso, l’aspirazione etica della massima è forse inferiore solo all’altro invito cristiano: «Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Matteo 5, 39).

In realtà, se il consenso generale vuole che, come sintetizza il filosofo Hans Küng, la Regola aurea «dovrebbe essere la norma irrevocabile e incondizionata per tutti gli ambiti della vita, per le famiglie e le comunità, per le razze, le nazioni e le religioni» (Küng, Kuschel, 1993), un esame critico del suo contenuto rivela non poche crepe. Anzi, un metaforico tsunami che riduce notevolmente, a mio avviso, il suo potenziale morale.

L’obiezione più comune è riassumibile nella seguente frase del celebre drammaturgo inglese George Bernard Shaw (1856-1950), il quale, in Man and superman, avverte: «Non fare agli altri ciò che vorresti che facessero a te. I loro gusti potrebbero non essere gli stessi» (Shaw, 1903, p. 226), spingendosi fino al punto di proclamare che «The Golden Rule is that there is no golden rule» (“La Regola aurea è che non esiste alcuna regola aurea”).

Perché Shaw è così critico nei confronti del precetto: “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”? Perché esso può funzionare solo se c’è condivisione di valori, gusti e preferenze. Facciamo qualche esempio.

Ammettiamo che A sia omosessuale e che faccia delle avances piuttosto esplicite a B, che però è eterosessuale. A si comporta nei confronti di B come vorrebbe che B si comportasse nei suoi confronti, ma B non condivide l’orientamento sessuale di A e si sente infastidito dalle sue avances. Assistiamo in questo caso a un cortocircuito etico che pone in serio imbarazzo la pretesa morale universale della Regola aurea.

Lo stesso accadrebbe se A fosse un anarchico, negatore della proprietà privata, e sottraesse a B la sua automobile in nome dei propri principi anarchici. Per B, che crede nella proprietà privata, questo sarebbe un furto tanto che non avrebbe esitazioni a denunciare A per la sua condotta.

Ancora, se A ama il sushi, riterrà che offrirne una porzione a B sia cosa buona e giusta perché gradirebbe che B facesse la stessa cosa con lui. B, però, non sopporta il pesce crudo e non ne offrirebbe mai ad A. Anzi, se A insistesse, B potrebbe anche offendersi per l’ostinazione di A, incapace di comprendere che i suoi gusti sono diversi da quelli del suo interlocutore.

Incidentalmente, situazioni del genere sono alla base di molti passi falsi relazionali. Si pensi a chi regala al proprio partner o all’amico un oggetto perché a lui/lei piacerebbe ricevere il medesimo regalo. In casi del genere, non tenere conto dei gusti dell’altro/altra può portare a una crisi del rapporto, le cui conseguenze potrebbero essere anche gravi, soprattutto se i passi falsi sono ripetuti.

Considerazioni simili possono farsi anche a proposito della versione negativa della Regola aurea: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”. Ad esempio, se credo che i poveri non debbano essere aiutati perché sono responsabili della propria sciagura e, dunque, non vorrei ricevere alcun soccorso nel caso mi trovassi nella medesima condizione, agirò allo stesso modo nei confronti degli indigenti che mi capiterà di incontrare. Se ritengo che la sofferenza serva all’essere umano per acquisire meriti agli occhi del Creatore, non mi muoverò in aiuto di coloro che soffrono nella convinzione che ciò si tradurrà per essi in un vantaggio religioso.

Da questi esempi, emerge chiaramente che la Regola aurea non sembra in grado di riconoscere l’esistenza di legittime differenze valoriali. L’esito paradossale è che essa sembra promuovere una condotta morale egocentrica in cui i valori del soggetto che “agisce” la regola diventano i valori di riferimento di tutti, anche se sappiamo che, nella vita di tutti i giorni, non accade praticamente mai che due individui condividano esattamente gli stessi valori, gusti e preferenze.

In alcuni casi, come è evidente dagli esempi addotti a proposito della versione negativa della Regola aurea, essa sembra addirittura legittimare comportamenti che, per altri versi, sarebbero definibili come immorali.

C’è poi un altro ordine di problemi che sembra rendere problematica l’applicazione universale della Regola aurea. Chi sono gli altri nei riguardi dei quali fare ciò che vorremmo fosse fatto a noi? Tutti i nostri simili? Solo i nostri parenti, o amici? Solo i nostri connazionali, corregionali o compaesani? Solo quanti condividono la nostra religione, i nostri valori politici, i nostri gusti estetici, alimentari, sportivi? Qui la faccenda si fa complicata perché la Regola aurea non impone un obbligo nei confronti del nostro prossimo, né specifica da chi esso debba essere composto, né se per “altri” debba intendersi “tutti”. Un bel guazzabuglio da cui non è facile districarsi. Il rischio è che, identificando gli altri con una sola categoria di persone, il precetto possa avere come conseguenza non intenzionale la messa in atto di condotte discriminatorie nei confronti di tutti coloro che non sono compresi fra i destinatari dello stesso con paradossali esiti “parziali” o, comunque, non universali.

Il filosofo Alan Tapper (2022) evidenzia altre quattro importanti criticità della Regola aurea.

La prima è che essa non ha niente da dire nel caso B non intenda ricambiare l’azione benefica di A. Anche se A e B condividono gli stessi assunti valoriali, B potrebbe non volere rendere ad A il beneficio avuto da questi e la regola aurea non dice nulla su come “l’altro” debba comportarsi. In sintesi, la reciprocità, caratteristica attribuita in maniera preminente alla regola aurea, di fatto è solo apparente.

La seconda criticità è che la Regola aurea si basa esclusivamente su una volontà, un desiderio (“Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”) e non impone alcun obbligo morale oggettivo. In altre parole, l’agente morale non è impegnato ad agire moralmente in quanto la sua condotta è orientata meramente da quello che vorrebbe l’altro facesse a sé. Stando così le cose, manca uno degli elementi fondamentali della condotta etica, come tradizionalmente intesa: l’imperativo morale.

La terza criticità individuata da Tapper riguarda il problema della benevolenza. La Regola aurea invita a essere benevolo nei confronti dell’altro solo se tale benevolenza scaturisce dalla “consultazione” dei propri desideri, ma in questo modo la condotta dell’agente morale non pare informata da una considerazione appropriata del concetto di benevolenza, che risente eccessivamente della soggettività dell’agente.

Infine, la quarta criticità è che la regola aurea non motiva, di fatto, a mettere in atto una vera condotta benevola in quanto la benevolenza è motivata da considerazioni meramente egoistiche, non necessariamente da generosità, gentilezza e interesse per l’altro. Ancora una volta, la condotta altruistica è tale solo in apparenza, non essendo fine a sé stessa.

Per quanto, dunque, possa sembrare blasfemo, il precetto “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, se esaminato criticamente, non si rivela affatto un precetto universale; fa del soggetto agente e dei suoi desideri il centro dell’azione morale, promuovendo così una sorta di egocentrismo morale; fa leva sui desideri dell’agente piuttosto che su una disposizione realmente morale; infine, non sembra conformarsi a criteri morali particolarmente elevati, incoraggiando, talvolta, condotte immorali.

Il filosofo Harry J. Gensler (2013), in difesa della Regola aurea, afferma che essa può funzionare solo in assenza di flawed desires (“desideri fallaci”). Il guaio è che l’essere umano è per sua natura “fallace” e i desideri che formula non possono che riflettere la sua naturale inclinazione alla fallacia.

Riferimenti

Gensler, H. J., 2013, Ethics and the Golden Rule, Routledge, New York and London.

Küng, H., Kuschel, K.-J., 1993, A Global Ethic: The Declaration of the Parliament of the World’s Religions, SCM Press, London.

Shaw, G. B., 1903, Man and Superman. A Comedy and a Philosophy, Archibald Constable and Co, Westminster.

Tapper, A., 2022, “What Is Wrong with the Golden Rule?”, International Journal of Applied Philosophy, vol. 36, n. 2, pp. 251-261.

 

 

 

 

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