Le origini religiose della “musica del diavolo”

Rock and roll e religione. Il diavolo e l’acqua santa. Potrebbe mai esserci una contrapposizione più netta di questa? Del resto, sin dalla sua nascita, il “genere rock” è stato bersaglio di invettive e condanne da parte di predicatori, sacerdoti e moralisti che ne biasimavano la natura peccaminosa e “demoniaca”.

Eppure, come osserva lo storico Randall J. Stephens, autore di “Where else did they copy their styles but from church groups?”: Rock ‘n’ Roll and Pentecostalism in the 1950s South (2016), il rock deve moltissimo alla religione, in particolare, al pentecostalismo del sud degli Stati Uniti che, sin dagli anni Venti del XX secolo, trasformò la scena religiosa americana, introducendo ritmo, energia e musica nelle sue manifestazioni.

I campioni del rock degli anni Cinquanta – Elvis Presley, Johnny Cash, Little Richard, Jerry Lee Lewis, James Brown – erano tutti originari del sud degli Stati Uniti dove le chiese pentecostali avevano, da tempo, infranto i vecchi stereotipi cupi e grigi associati al protestantesimo tradizionale. Avevano, ad esempio, introdotto gli strumenti musicali nelle funzioni religiose, tra cui il pianoforte, la batteria, gli ottoni e perfino la chitarra. Avevano, inoltre, trasformato le polverose prediche di un tempo in occasioni di allegra convivialità, condotte da pastori carismatici che erano l’esatto opposto dei sacerdoti uggiosi della tradizione cattolica e protestante.

Crescendo in questo ambiente, i pionieri del rock ne assorbirono il fascino, l’energia, perfino i movimenti. Spesso, fu proprio qui che cominciarono a esibirsi ed è da questo ambiente che trassero le prime idee musicali e gestuali. Nel 1958, intervistato sul perché dimenasse il bacino come un ossesso sul palco, Elvis Presley rispondeva: «Canto come cantano nel mio paese. Quando ero più giovane, mi piacevano i quartetti spirituali. Cantano proprio così». Little Richard confessò che, da giovane, avrebbe voluto fare il pastore e di Aretha Franklin si disse che, nei suoi versi, si limitò a sostituire la parola baby a Jesus.

Le chiese evangeliche e pentecostali dell’epoca enfatizzavano il “miracolo” della rinascita spirituale, la meraviglia delle opere di Dio, il parlare “in lingue”, i pericoli concreti dell’azione del Diavolo, la necessità di frequentare le funzioni religiose. Tutto questo si traduceva in una forte enfasi sulla presenza, la parola, la gestualità e la musica. Per i fedeli di queste chiese, la “vera” religione era una religione fatta di movimento, vivacità, teatralità, entusiasmo costante, mani costantemente battute, corde vocali ripetutamente sollecitate, in un trionfo di fede e disinibizione. Nomignoli come bible thumpers e holy rollers, con cui venivano designati, spesso sprezzantemente, i fedeli delle chiese pentecostali, comunicano più di tante parole l’atteggiamento nei confronti della religione di migliaia di persone che si riconoscevano nel pentecostalismo. 

Eppure, come detto, fu spesso proprio dai pulpiti della religione che partirono le più veementi critiche nei confronti del rock, accusato di essere volgare, di incoraggiare l’adorazione di Satana, di abbattere le barriere razziali, favorendo il mescolamento di bianchi e neri, di promuovere il comunismo, di corrompere selvaggiamente la moralità delle giovani generazioni e di iniziarle precocemente a una forma degenerata di sessualità. Alcuni predicatori giunsero a definire il rock and roll come un culto in sé, una manifestazione soprannaturale degli inferi, una trappola per attirare milioni e milioni di giovani nelle spire del Demonio.

Oggi, queste contrapposizioni sono decisamente superate. È raro trovare un predicatore che tuoni contro la musica rock come un tempo. Anzi, esiste addirittura un rock cristiano a testimonianza della capacità fagocitante del cristianesimo nei confronti di quasi tutte le manifestazioni culturali.

La storia del rock ci insegna, però, che spesso gli (apparentemente) opposti si toccano più di quanto non si immagini. Del resto, anche Satana, in origine, era un angelo!

Fonte

Randall J. Stephens, 2016, “‘Where else did they copy their styles but from church groups?’: Rock ‘n’ Roll and Pentecostalism in the 1950s South”, Church History, vol. 85, n. 1, pp. 97-131.

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