Come da un inno nacquero le note musicali

In sociologia è comune parlare di “funzioni latenti” (Merton) o di “effetti perversi” (Boudon) dell’agire sociale. Con questi termini si intende il fatto che i comportamenti degli individui producono talvolta effetti non previsti, sia desiderabili sia indesiderabili, che hanno delle conseguenze importanti sulla società. Un esempio, fornito da Boudon, riguarda l’istruzione di massa. Negli anni Sessanta del XX secolo, quando questa fu messa in atto nei paesi occidentali, l’obiettivo era che contribuisse ad aumentare la mobilità sociale attraverso, appunto, l’aumento dell’istruzione. In realtà, come oggi sappiamo, l’aumento del livello di istruzione non genera mobilità sociale. Se tutti hanno un’istruzione superiore, si crea un’inflazione di titoli che non trova corrispettivo nel numero di occupazioni superiori disponibili nella società. Si creano dunque disoccupati, aspettative frustrate e sottoccupazione.

Le conseguenze inattese, però, non sono sempre e comunque negative. A volte, possono essere positive. Lo dimostra la storia della nascita delle note musicali.

Non molti sanno che le note musicali – Do, Re, Mi, Fa Sol, La, Si – furono un “effetto perverso” di un inno religioso, Ut queant laxis, scritto da Paolo Diacono (720-799). Ut queant laxis è l’inno liturgico dei Vespri della solennità della natività di San Giovanni Battista che ricorre il 24 giugno. Ecco il testo:

(LA)

«Ut queant laxis

Resonare fibris

Mira gestorum

Famuli tuorum

Solve polluti

Labii reatum

Sancte Iohannes»

(IT)

«Affinché possano cantare

con voci libere

le meraviglie delle tue gesta

i servi Tuoi,

cancella il peccato

dal loro labbro impuro,

o San Giovanni»

Fu Guido d’Arezzo (991-1045) a ricavare le sette note a noi conosciute dalle prime sillabe di ciascun verso – Ut-Re-Mi-Fa-Sol-La – dell’inno con “Ut” che, in seguito divenne “Do”, mentre “Si” fu aggiunta solo nel 1482 da Bartolomé Ramos de Pareja (1440-1522).

Questa storia ci insegna due cose.

La prima è che le “invenzioni” spesso hanno origine da fonti e ambiti insospettabili. Chi penserebbe mai, ad esempio, di ricavare delle notazioni musicali da un inno religioso?

La seconda è che le forme culturali non nascono già “adulte” ma evolvono e si modificano nel tempo, come dimostra la storia delle note musicali (pochi sanno che “Do” prima si chiamava “Ut” e che “Si” è stata aggiunta solo in un secondo momento), ma anche la storia di importanti preghiere come l’Ave Maria e il rosario di cui parlo nel mio ultimo libro La Sacra Corona. Storia, sociologia e psicologia del rosario, che, ovviamente, vi invito a leggere.

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