Lo dico chiaramente: non sono un fan della ministra per le pari opportunità e la Famiglia Eugenia Roccella. Non condivido le sue posizioni sugli omosessuali, sugli immigrati, sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, su aborto, fine vita e fecondazione assistita.
Tuttavia, le sue recenti esternazioni su uomini e donne che chiamano i loro cani con nomi “umani”, al di là delle conclusioni sulla necessità di una “rivolta a difesa dell’umano” e sui rischi corsi oggi dalla “famiglia tradizionale”, colgono uno dei fenomeni sociali più rilevanti degli ultimi anni: l’antropomorfizzazione spinta degli animali, soprattutto “di compagnia”, e la loro funzione di surroga rispetto a relazioni affettive e umane precarie.
È evidente a tutti che oggi gli animali colmino vuoti esistenziali e psicologici. Essi sostituiscono i figli quando questi vanno via dalla famiglia o non arrivano mai (e se pure ci sono, diventano “fratellini” da accudire e vezzeggiare). Soddisfano il nostro desiderio di compiere buone azioni, di reciprocità, dialogo e complementarità. In un’epoca in cui la fiducia nei nostri simili umani sembra venir meno, gli animali rappresentano surrogati più comodi e facili da gestire.
Sono letteralmente i migliori amici dell’uomo, se non altro perché a tutti piace avere un amico che non ti contraddice mai e fa tutto quello che vuoi senza protestare. Molti cercano (anche) relazioni di altro genere, che soddisfino esigenze non colmate dai rapporti umani, come una relazione di accudimento quando non c’è un cucciolo umano, oppure un affetto incondizionato, inattaccabile, senza giudizio né rischi di abbandono, delusione o tradimento.
Non sorprende, dunque, che gli umani siano disposti a erigere monumenti funebri per i loro amici a varie zampe e a lasciare loro in eredità i propri beni. Oggi gli animali sono caricati di funzioni affettive, sociali e psicologiche e oggetto di processi di “umanizzazione” e di “parentizzazione” come non mai nella storia.
Alla umanizzazione degli animali contribuisce indubbiamente anche quella che potremmo chiamare la disneyzzazione del mondo, ossia la trasformazione mediatica del mondo in luogo in cui “cartoni animali” parlano, pensano, sentono, agiscono come e meglio degli umani; in cui personaggi come Dumbo hanno occhioni commoventi ed espressioni strappalacrime e dove elefanti, bradipi, ciuchini e leoni animati interpretano tipi umani noti come il “saggio”, il “burbero”, il “coraggioso”, il “sapiente”, lo “scemo”. Non è improbabile che la Disney, più di tante posizioni filosofiche e culturali in difesa degli animali, abbia instillato nella mente dei contemporanei l’idea, fino a qualche decennio fa ritenuta inaudita e assurda, che le “bestie” abbiano un’anima.
Oggi viviamo nell’epoca dell’animalismo e dell’antispecismo, un’epoca mai esistita prima nella storia dell’umanità, che ha riconosciuto agli animali diritti prima nemmeno concepibili. Si può parlare al riguardo di una vera e propria rivoluzione culturale, che ha scalzato l’antropocentrismo che caratterizza da secoli il rapporto uomo-animale e ha portato a un cambiamento radicale nel modo di vedere e agire nei confronti degli animali. Fino a tempi recenti, la posizione privilegiata dell’uomo in cima alla gerarchia degli esseri viventi non era nemmeno contestabile. Oggi, gli animali sono soggetti a pieno titolo della discussione pubblica e politica, ispirano filosofie, movimenti, giurisprudenza, criminologie (le cosiddette zoomafie); orientano il mercato, la religione, la società.
Appare evidente, però, come questa nuova posizione privilegiata sia soprattutto funzione di un potente meccanismo di proiezione psicologica che ci porta a riversare sugli animali sentimenti, frustrazioni, aspirazioni, modi di sentire e di vedere “umani” e a pretendere da essi reazioni “umane” prevedibili, conformi ai nostri desiderata.
Così, non è difficile sentire la proprietaria di un cane che si accomiata dai suoi amici invitare il suo pet a “fare ciao con la manina” o un altro proprietario invitare il suo barboncino a suggerirgli che cosa fare con la sua riottosa amata.
Cani e altri pets diventano sempre più sponde dei nostri pensieri, specchi in cui amiamo rifletterci, compagni eterni che non ci deluderanno mai. Sono l’estensione dei nostri ego, l’addendum delle nostre personalità, il link a parti di noi stessi che altrimenti trascureremmo.
Il problema è che tutto questo è “umano, troppo umano”. Una forma di superstizione proiettiva di cui in tanti siamo vittime e che ci rende irrazionali come poche cose al mondo. Parlare con gli animali è oggi divenuto normale, come un tempo era normale parlare con dei, spiriti e altri esseri soprannaturali.
Insomma, gli animali come surroghe di dimensioni perse o abiurate. Non ce ne accorgiamo, ma cerchiamo l’umano in chi umano non è e disdegniamo l’umano di chi umano è.
Per altre superstizioni moderne, rimando al mio Aloni, stregoni e superstizioni da cui ho tratto alcune delle parole di questo post.