Fabio Rampelli e lo “statement” di Galeazzo Ciano

È della fine di marzo la notizia che un esponente di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, ha presentato una proposta di legge che prevede il pagamento di una somma variabile da 5.000 a 100.000 euro per chi si rende colpevole di “forestierismo linguistico”, macchiandosi dell’utilizzo di termini non appartenenti alla lingua italiana, con particolare riferimento alla pubblica amministrazione.

Rampelli fa parte dello stesso schieramento politico che ha coniato l’espressione “Ministero delle Imprese e del Made in Italy”. Sul sito del Ministero è possibile leggere termini come “privacy”, “investor”, “telemarketing”, “rating”, “reach”, “space economy” e così via. Un’abbondanza di forestierismi che contraddice le velleità puristiche di Rampelli, il quale evidentemente crede che, in un’epoca globale quale la nostra, possa esistere una lingua “autarchica” e incontaminata, un idioma senza macchie, forse integro da secoli, che le brutte parole straniere minacciano di “sporcare” con suoni “strani” e significati incomprensibili.

Per quanto si possa discutere sulla diffusa tendenza a usare termini stranieri a sproposito, più per il loro effetto connotativo che per una esigenza effettivamente avvertita dai parlanti, il purismo linguistico è, nel migliore dei casi, velleitario, nel peggiore, ridicolo, come dimostra la vicenda della campagna condotta dal fascismo contro le parole straniere.

Non molti ricordano che il regime di Mussolini impose una tassa sull’uso delle parole non italiane (regio decreto n. 352 dell’11 febbraio 1923), che ricorda da vicino le sanzioni amministrative previste dalla proposta di legge di Rampelli. Durante il ventennio, il fascismo condusse una campagna xenofoba virulenta contro ogni parola e locuzione straniera, accusando addirittura di lesa maestà chiunque utilizzasse espressioni forestiere al posto di quelle italiane.

L’ostilità verso le parole straniere si intensificò nel 1938. Furono vietati denominazioni e nomi stranieri per i locali di pubblico spettacolo (regio decreto legge del 5 dicembre 1938, n. 2172) e per i neonati di nazionalità italiana (art. 72 del nuovo Ordinamento dello stato civile, promulgato con regio decreto del 9 luglio 1939, n. 1238). Furono italianizzati nomi e cognomi stranieri e proposti sostituti italiani per una serie di sostantivi da tempo entrati nella lingua italiana. Ad esempio, furono suggeriti “fin di pasto” per dessert; “arlecchino” per cocktail; “comunella” per passe-partout; “panfrutto” per plum cake ecc. La maggior parte di queste proposte non ebbe mai seguito.

La battaglia si estese alle minoranze linguistiche e ai dialetti, avvertiti come gravi attentati alla vera italianità.

In realtà, furono gli stessi gerarchi fascisti a tradire spesso la purezza linguistica che pure tentarono di imporre con ogni mezzo. Ad esempio, nel suo Diario, alla data del 14 luglio 1938, Galeazzo Ciano, Ministro degli affari esteri, scrive:

Il Duce mi annuncia la pubblicazione da parte del «Giornale d’Italia» di uno statement sulle questioni della razza. Figura scritto da un gruppo di studiosi, sotto l’egida della Cultura Popolare. Mi dice che in realtà l’ha quasi completamente redatto lui.

Che uno dei principali esponenti di un regime passato alla storia per aver intrapreso una battaglia contro ogni forestierismo utilizzi l’inutile statement al posto dell’italiana “dichiarazione”, peraltro in un contesto informale come può essere una scrittura diaristica, è segno di come, allora come oggi, si predicasse in un modo e si agisse in un altro. Proprio come gli esponenti del partito di maggioranza di oggi che propongono leggi puristiche nel momento stesso in cui ricorrono a parole straniere di ogni genere per conferire importanza, lustro ed esoticità al proprio operato. Un vezzo ipocrita che sconfessa l’assioma di fondo di questi “tentativi purificatori”: quello dell’esistenza di una lingua pura.

Non esistono lingue pure così come non esistono razze pure. Dovremmo averlo imparato da tempo, ma evidentemente certe lezioni non si apprendono mai.

Fonte: Valeria Della Valle, Riccardo Gualdo, 2023, Le parole del fascismo. Come la dittatura ha cambiato l’italiano, Accademia della Crusca – la Repubblica, GEDI, Torino, pp. 27; 74-96).

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