Per una sociologia della stupidità umana

Secondo il dizionario della Treccani, “stupido” significa innanzitutto “preso da stupore, attonito, sbalordito; che è in una condizione d’incapacità o insensibilità indotta da meraviglia, sorpresa, o da altre cause fisiche o morali”. Lo stesso dizionario riconosce, tuttavia, che il significato più comune di “stupido” è “che ha, o mostra, scarsissima intelligenza, lentezza e fatica nell’apprendere, ottusità di mente” (https://www.treccani.it/vocabolario/stupido/).

Se “stupido” significasse semplicemente “poco intelligente” o “lento a comprendere”, non ci sarebbe altro da aggiungere. La realtà è che il termine viene adoperato secondo una varietà di significati per lo più elusivi, eclettici, indeterminati, dipendenti dall’uso di ogni singolo parlante. Si può dire, a ragione, che ognuno di noi adopera la parola in modo idiosincratico per designare un complesso di comportamenti o idee che non necessariamente designano scarsa intelligenza, ma spesso semplicemente diversità, distanza dal proprio punto di vista, difformità di pensiero, incomprensione, ambiguità, oscurità concettuale, ostinazione intellettuale, inefficacia, inadeguatezza ecc.

Quella di “stupidità” può essere anche un’arma retorica per screditare, denigrare, ridicolizzare l’avversario, indipendentemente dal fatto che questi sia poco o molto intelligente. Questa pluralità potenziale di usi e significati spiega perché filosofi, psicologi moralisti e scrittori si siano tanto affannati a discutere di stupidità, spesso dandone per inteso il significato e argomentando in base a personali punti di vista.

In un breve e fortunato divertissement di qualche decennio fa, lo storico dell’economia Carlo Cipolla (1922-2000) espose in maniera assiomatica le sue cinque leggi fondamentali della stupidità umana. Esse sono:

1) Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.

2) La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona.

3) Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita.

4) Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare, i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.

5) La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.

Corollario: lo stupido è più pericoloso del bandito (ossia, di chi compie un’azione dalla quale trae un vantaggio causando una perdita ad altri) (Cipolla, C. M., 1988, Allegro ma non troppo, Il Mulino, Bologna, pp. 41-83).

Alle cinque leggi di Cipolla, contrappongo altre cinque leggi – o, più modestamente, proposizioni, suggestioni, proposte – che possono costituire la base per una riflessione sociologica sulla stupidità che sfugga al moralismo e alla supponenza con cui abitualmente il tema viene affrontato. Si tratta di proposizioni che rovesciano completamente la prospettiva di Cipolla, condannandola ovviamente alla “stupidità”. Vediamo perché.

1) Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.

Al contrario di quello che afferma Cipolla, ognuno di noi tende spontaneamente, anche per ragioni cognitive, a ritenersi più giudizioso, sensato, sapiente, equilibrato, ragionevole degli altri. In definitiva, più in gamba, più furbo, più intelligente, più capace del prossimo. Gli esseri umani, contrariamente a quanto ritiene Cipolla, tendono costantemente e sistematicamente a sopravvalutare le proprie capacità e a ritenere gli altri più stupidi in generale. Gli psicologi definiscono questa particolare inclinazione della mente, o bias, overconfidence (in italiano, “sicumera”) e affermano che non si tratta né di arroganza né di presunzione (non è quindi un “difetto morale”), ma di una precisa tendenza della psiche. Una conseguenza di tale bias è la facilità con cui sovrastimiamo la stupidità degli individui che ci circondano (come fa Cipolla), aderendo a una visione stupidocentrica della realtà che, in ultima analisi, ha poco a che vedere con la realtà.

Quello che certamente sottovalutiamo, invece, è il potere delle etichette (labels o tags, in inglese) e delle definizioni; in particolare, delle etichette e delle definizioni che conferiscono all’altro lo status di stupido. Spessissimo non ci rendiamo conto di come tali etichette, disinvoltamente distribuite a chi è intorno a noi, abbiano effetti devastanti sulle persone. Ad esempio, se definiamo sistematicamente “stupido” nostro figlio non dovremmo poi meravigliarci se questi effettivamente si sentirà e si comporterà da stupido. Se ingiuriamo continuamente con lo stesso epiteto il nostro collega o collaboratore, è verosimile che questi avvertirà un profondo senso di demotivazione e frustrazione in ambiente lavorativo che, in ultima analisi, si ritorcerà a sfavore del livello di produttività. Gli effetti dell’applicazione di quest’etichetta riguardano anche chi la applica che si vedrà progressivamente isolato, emarginato, disprezzato e odiato dai suoi simili.

Perché allora questa prima legge di Cipolla, come del resto anche le altre, ha riscosso tanto successo? Il buon esito della definizione dello storico sta nel fatto che essa offre al lettore l’illusione di far parte di una élite di benpensanti, di una schiera di non stupidi, la cui unica imperfezione è quella di sottovalutare il numero di individui stupidi in circolazione. Corollario di questa “legge” è che lo stupido è incontestabilmente sempre l’altro. Raramente ci consideriamo stupidi. Raramente ci autodefiniamo stupidi. È sempre qualcun altro a farlo. È sempre qualcun altro a essere etichettato come “stupido”. La legge di Cipolla ha, dunque, successo per il suo valore rassicurante, consolatorio. Essa consente al lettore di annuire vigorosamente, tra vari sospiri di conferma, all’attestazione della stupidità altrui e di illudersi che, per il semplice fatto di essere tra i lettori delle cinque leggi di Cipolla, non si è stupidi.

2) La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona.

Al contrario, la probabilità che una certa persona sia etichettata come “stupida” dipende da una serie di fattori sociologici e psicologici. L’etichetta di “stupido” varia in ragione di fattori quali l’età [l’adulto definisce spesso “stupido” il comportamento spensierato, superficiale, irresponsabile o ingenuo dei bambini e degli adolescenti (tale etichetta cela spesso un sentimento di invidia); bambini e adolescenti ricambiano definendo “stupido” il comportamento degli adulti e dei vecchi, accusati di grettezza, conformismo, ottusità, tradizionalismo, eccessiva prudenza, “vecchiezza” (anche questa etichetta cela spesso un sentimento di invidia nei confronti dell’autonomia posseduta dagli adulti)], il sesso (gli uomini accusano spesso le donne di sentimentalismo, irrazionalità, mancanza di controllo, ossia “stupidità”; le donne accusano spesso gli uomini di incapacità di provare sentimenti o non saperli condividere, di eccesso di razionalità, di non sapersi assumere le loro responsabilità, di essere mammoni, in altre parole di essere “stupidi”), lo stile di vita (il borghese in giacca e cravatta perenni accusa il punk di essere “stupido”; il punk accusa il borghese in giacca e cravatta perenni di essere grettamente conformista, ossia “stupido”. Il pacifista è “stupido” agli occhi del guerrafondaio; il guerrafondaio è “stupido” agli occhi del pacifista), la classe sociale (per chi occupa alte posizioni sociali il povero è spesso tale per stupidità; il povero, a sua volta, può tacciare di stupidità il ricco per la sua avidità o avarizia; un operaio può considerare “stupido” l’acquisto per 20.000 euro di un orologio di lusso da parte del riccone di turno; un magnate dell’alta finanza può giudicare incomprensibile e, dunque, “stupido” il tenore di vita di un metalmeccanico), la professione (un professionista dell’economia o del diritto osserva con il sopracciglio alzato il disoccupato che usufruisce del reddito di cittadinanza e che, quindi, è per ciò stesso “stupido”; questi, a sua volta, considera “stupide” le lamentele esistenziali di chi è “pieno di soldi”), l’orientamento politico (il programma dell’avversario politico è invariabilmente “stupido”, ma naturalmente anche l’avversario avrà da ridire sul nostro “stupido” programma), l’istruzione (il laureato definisce “stupido” il drop-out che ha rinunciato a proseguire gli studi, privandosi della possibilità di trovare un lavoro migliore; il drop-out definisce “stupido” il laureato che ha dedicato la vita agli studi invece di divertirsi e trovare subito un lavoro) ecc.

3) Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita.

Parafrasando il sociologo Howard Becker, il quale diceva che “I gruppi sociali creano la devianza istituendo norme la cui infrazione costituisce la devianza stessa, applicando quelle norme a determinate persone e attribuendo loro l’etichetta di outsiders. Da questo punto di vista, la devianza non è una qualità dell’atto commesso da una persona, ma piuttosto una conseguenza dell’applicazione, da parte di altri, di norme e di sanzioni nei confronti di un colpevole. Il deviante è una persona alla quale questa etichetta è stata applicata con successo; un comportamento deviante è un comportamento che la gente etichetta come tale”, potremmo dire che “le persone e/o i gruppi sociali creano la stupidità istituendo norme la cui infrazione costituisce la stupidità stessa, applicando quelle norme a determinate persone e attribuendo loro l’etichetta di stupidi. Da questo punto di vista, la stupidità non è una qualità dell’atto commesso da una persona, ma piuttosto una conseguenza dell’applicazione, da parte di altri, di norme e di sanzioni nei confronti dello stupido. Lo stupido è una persona alla quale questa etichetta è stata applicata con successo; un comportamento stupido è un comportamento che la gente etichetta come tale”.

Di conseguenza, la stupidità non è una qualità intrinseca delle persone, ma un’etichetta ad esse applicata. Tutti noi commettiamo azioni che, agli occhi di altri, possono essere state, sono o saranno considerate stupide, oppure sono di fatto o potenzialmente stupide. Le persone stupide sono tali perché qualcuno le etichetta sistematicamente e pubblicamente come tali. Data la sua elusività, l’etichetta di stupido può essere adoperata in un contesto estremamente composito di situazioni. Ai fini della nostra definizione beckeriana, però, non è importante tanto il contenuto dell’etichetta, quanto il fatto che essa trovi regolare applicazione. Stando così le cose, è importante comprendere il motivo sottostante all’agire degli “imprenditori di stupidità”: perché alcuni individui si danno tanto da fare per tacciare gli altri di stupidità? Qual è il loro scopo? Qual è il loro interesse? Qual è il loro tornaconto?

4) Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare, i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.

Etichettare una persona come stupida causa un danno ad essa o al gruppo di appartenenza, spesso per conseguire un qualche tipo di vantaggio consapevole o inconsapevole. Applicare l’etichetta di stupido all’altro comporta dei vantaggi all’etichettatore e una serie di vantaggi secondari all’etichettato. Tra i vantaggi che l’etichettatore (l’imprenditore di stupidità) può trarre ci sono: la certezza confortante di non far parte del novero degli stupidi; la credenza in una presunta superiorità nei confronti dello stupido; la squalifica morale dell’altro; benefici economici, materiali e di altro genere derivanti dallo screditamento dell’altro (si pensi a una promozione sociale guadagnata a spese del collega “stupido”). Si può sempre trarre un vantaggio dal definire gli altri stupidi.

Anche lo stupido può trarre un vantaggio dall’etichetta a lui/lei imposta. Ricordiamo quanto afferma Sigmund Freud nel ventiquattresimo capitolo della sua Introduzione alla psicoanalisi: «Un bravo lavoratore che si guadagna la vita viene storpiato da un infortunio sul lavoro; con il lavoro è finita, per il poveretto, che però col tempo riceve una piccola pensione di invalidità e impara a sfruttare come mendicante la sua mutilazione. La sua nuova esistenza, per quanto peggiorata, si basa ora proprio su ciò che lo ha privato dell’esistenza precedente. Se voi poteste togliergli la deformazione, lo rendereste  nell’immediato privo di mezzi di sussistenza e sorgerebbe il problema se sia ancora capace di riprendere il lavoro di prima. ciò che nel caso della nevrosi corrisponde a un simile sfruttamento secondario della malattia possiamo contrapporlo al tornaconto primario, dandogli il nome di tornaconto secondario della malattia» (Freud, S., 1915-1917, Introduzione alla psicoanalisi, in Idem, 1989, Opere. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1915-1917, Bollati Boringhieri, Torino, p. 538). Similmente, anche alla stupidità possono essere associati tornaconti secondari: ad esempio, gli stupidi subiscono minori pressioni e sono destinatari di minori aspettative di successo in ogni campo della vita, circostanza che permette loro di “vivere un’esistenza tranquilla”; evitano di essere coinvolti in situazioni potenzialmente rischiose o impegnative (come recita una nota massima: “fare il fesso per non andare in guerra”); attraggono talvolta simpatia e comprensione.

In definitiva, per i non stupidi, associarsi con individui etichettati come stupidi si dimostra spesso un vantaggio, ma anche coloro che sono etichettati come stupidi possono trarre un vantaggio della loro etichetta.

5) La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.

Corollario: lo stupido è più pericoloso del bandito.

A questa “legge” è possibile controbattere che la persona che etichetta l’altro come stupido è una delle persone più pericolose che esistano. Potenzialmente, tramite la sua etichetta, può screditare, inferiorizzare, disumanizzare, bestializzare l’altro, procurandogli danni enormi, specie di natura psichica, sociale e culturale. Ma anche materiale.

Definire qualcuno stupido può, inoltre, generare una profezia che si autoavvera. Se molti trattano una persona come stupida, questa può interiorizzare la definizione degli altri, considerarsi stupida, comportarsi da stupido e finire con l’essere davvero stupido.

Pericolosa non è, dunque, la persona stupida, quanto l’etichetta “istupidente”.

Facendo il verso a Cipolla, si può dire che il suo divertissement è, in ultima analisi, superficiale, semplicistico, banale, classista, penoso; insomma… “stupido”! Perché fa torto all’intelligenza di Cipolla (procurandogli un danno) e perché procura un danno ai lettori che avrebbero potuto impiegare meglio il proprio tempo leggendo altro.

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