Un aspetto che emerge prepotentemente dalle argomentazioni di quanti sono contrari ai vaccini è la verità di quello che Geoffrey Rose, autore nel 1983 di “Sick individuals and sick population” (International Journal of Epidemiology), definisce il “paradosso della prevenzione” (Prevention Paradox).
Ciò porta al paradosso della prevenzione: “Una misura di prevenzione che reca grandi benefici alla popolazione offre poco a ogni singolo individuo che vi aderisce”. È la storia della sanità pubblica: dall’immunizzazione alle cinture di sicurezza al tentativo di cambiare varie caratteristiche degli stili di vita. Di enorme importanza potenziale per la popolazione nel suo complesso, queste misure offrono molto poco— soprattutto nel breve periodo —a ogni individuo; di conseguenza il soggetto è scarsamente motivato. Non dovremmo sorprenderci del fatto che l’educazione alla salute tenda a essere relativamente inefficace per gli individui nel breve periodo. Nella maggior parte dei casi, le persone agiscono per ottenere ricompense sostanziose nell’immediato, e la motivazione medica all’educazione alla salute è intrinsecamente debole. È improbabile che il prossimo anno la salute delle persone sia molto migliore, se accetteranno o rifiuteranno i nostri consigli. Motivatori molto più potenti ai fini dell’educazione alla salute sono le ricompense sociali derivanti da una superiore autostima e dall’approvazione sociale (Geoffrey Rose, 2001, “Sick individuals and sick populations”, International Journal of Epidemiology, vol. 30, n. 3, pp. 427–432).
In altre parole, dove alcune misure hanno permesso di ridurre o eliminare i rischi derivanti da alcune malattie, si tende a mettere in dubbio l’utilità delle misure adottate. Se le misure di prevenzione hanno successo, la gente non vede più il pericolo e non riconosce i meriti di chi le ha adottate. Sono colte, dunque, da uno strano oblio che le porta a dimenticare che il pericolo non esiste più proprio perché è stata adottata quella misura per eliminarlo.
Esempi classici sono l’uso delle cinture di sicurezza, la riduzione del consumo di sale, la moderazione nell’assunzione di alcolici e così via. In tutti questi casi, il singolo tende a trascurare o dimenticare le ricadute, in termini di popolazione, di determinate misure di salute pubblica, focalizzando la propria attenzione sul corto respiro della propria situazione personale.
A ciò contribuisce anche il cosiddetto “effetto famigliarità” in base al quale, quando le persone convivono da tempo con una determinata patologia o fenomenologia avversa, tendono a sottovalutarne la minaccia, come accade con gli incidenti automobilistici e con l’influenza stagionale, che in Italia provoca ogni anno circa 6.000 morti per cause dirette o indirette.
Secondo Rose, invece, coloro che devono prendere decisioni in materia di salute pubblica dovrebbero adottare un approccio basato non sui singoli individui, ma sulla “popolazione”; approccio che spesso non viene inteso dal singolo che adotta, come detto, un punto di vista estremamente diverso.
Quello che potremmo definire il “bias della prevenzione” è particolarmente presente in quanti si identificano nella galassia No-Vax, i quali invocano la “libertà individuale” a scapito della salute collettiva a difesa delle proprie argomentazioni.
Si tratta di uno dei tanti bias che affliggono la mente di coloro che rifiutano di essere “inoculati”: uno dei meno noti, ma non per questo meno pericolosi.