In un libro recente del biologo Adam Rutherford leggo il seguente passo:
Gli atleti oggi sono più in forma di quanto non fossero in passato, sotto ogni punto di vista. La grande squadra di cricket australiana nella quale hanno giocato leggende come Don Bradman verrebbe stracciata dall’attuale squadra inglese di serie B, se dovessero affrontarsi nelle rispettive forme migliori. E sono piuttosto sicuro che la squadra inglese che vinse la Coppa del mondo nel 1966 si troverebbe in difficoltà se dovesse giocare contro la prima squadra della mia amata Ipswich Town, che mentre scrivo sta languendo al terzo livello delle leghe calcistiche inglesi. Le squadre sportive oggi hanno geni migliori? Non in misura significativa, ma lo sport si è evoluto ed è diventato una pratica più seria e redditizia, dunque gli standard previsti per i programmi di allenamento, le attrezzature, Je diete, la forma e la professionalità sono saliti a livelli stellari (Rutherford, A., 2020, Cosa rispondere a un razzista, Bollati Boringhieri, Torino, p. 111).
Confesso che questo passo mi ha fatto molto pensare. A tutti gli appassionati di sport capita di fantasticare su improbabili sfide tra Coppi e Pantani, tra l’attuale Nazionale italiana di calcio e la formazione che trionfò ai Mondiali del 1934, tra la Juventus dei nove scudetti consecutivi e quella del quinquennio d’oro del 1930-1935.
L’esito delle mie fantasie, in accordo con quanto afferma Rutherford, è di solito impietoso nei confronti degli sportivi del passato. Del resto, basta osservare una qualsiasi partita di calcio degli anni Cinquanta o Sessanta: i giocatori appaiono lenti, poco muscolosi, noiosi, poco tattici e tecnici in confronto a quelli di oggi. E sì, l’idea che i grandi campioni del passato possano soffrire, se non prendere sonore sberle, da calciatori di serie minori della contemporaneità mi viene spesso in mente.
E non per motivi genetici, come ricorda Rutherford, ma per la grande professionalizzazione che ha accompagnato lo sport odierno, che ha raggiunto standard di competitività un tempo inimmaginabili. E pensare che i “professionisti” sono talvolta additati come “mercenari”, anche se è proprio in quanto mercenari che possiamo apprezzare le gesta dei nostri eroi contemporanei.
In ogni modo, mi sembra di poter affermare con una certa sicurezza che, quanto meno in ambito sportivo, la querelle des anciens et des modernes debba risolversi tutta a favore dei moderni. Con l’avvertenza che gli antichi continueranno a rifulgere nel nostro ricordo come in un empireo di invincibili, trasfigurati dal passato e per questo inavvicinabili. Come tutti i nostri ricordi.
Sul tema del professionalismo e del valore positivo dei “mercenari”, rimando al mio Hanno visto tutti! Nella mente del tifoso, dove espongo una tesi originale sull’argomento.