I fatti sociali, una volta creati e istituzionalizzati, tendono a diventare routine, tradizione, e a essere vissuti come seconda natura, qualcosa che è sempre stato, eternità, anche se all’inizio la loro introduzione nel flusso della vita sociale è stata contestata. Nel calcio, questo è il destino che attende la VAR. Accolta con scetticismo da alcuni, accusata di privare lo sport di spontaneità e naturalezza, di qui a qualche anno diventerà talmente consuetudinaria che ci domanderemo come sia stato possibile un calcio senza questa declinazione della tecnologia e accuseremo di barbarie il calcio precedente alla sua introduzione (su questo e altri meccanismi psico-sociali che agiscono sulla mente dei tifosi, raccomando il mio Hanno visto tutti! Nella mente del tifoso).
Nel calcio sono molte le innovazioni che, a causa della loro sedimentazione, tendono a essere date per scontate. Chi ricorda, ad esempio, che le sostituzioni di calciatori dell’undici iniziale non furono possibili se non a partire dagli anni Sessanta del Novecento? O che, fino al 1992, i portieri potevano tranquillamente raccogliere con le mani i passaggi all’indietro dei loro compagni di squadra? Un’altra innovazione che crediamo eterna è quella relativa ai cartellini giallo e rosso per designare rispettivamente l’ammonizione e l’espulsione dei calciatori a cui vengono mostrati. Eppure, i cartellini giallo e rosso non solo hanno una storia, ma questa è anche molto interessante.
L’inventore di questa strategia visiva di comunicazione fu un arbitro: più precisamente l’inglese Ken Aston, noto agli italiani per aver arbitrato – secondo alcuni in modo infame – l’incontro del Campionato del mondo di calcio tra Cile e Italia del 1962 in Cile. Durante questo incontro, che è ricordato come estremamente acceso e violento, Aston espulse due calciatori italiani, tollerando il calcio violento dei padroni di casa. Ciò che non tutti ricordano, però, è che le due espulsioni furono decretate in assenza di cartellini rossi, perché all’epoca non esistevano – le espulsioni venivano inflitte solo verbalmente – e che, in particolare, il calciatore Giorgio Ferrini, per motivi linguistici, non comprese immediatamente di essere stato espulso e rimase qualche minuto sul campo. Aston era stato testimone di simili equivoci comunicativi in occasione di altri incontri internazionali e, un giorno, mentre era fermo in auto a un semaforo, ebbe una sorta di epifania. In seguito, ebbe modo di commentare l’episodio con queste parole: «Guidavo su Kensington High Street, e il semaforo divenne rosso. Pensai: “Giallo, fai attenzione; rosso, fermo, sei espulso”». Aston, che, prima di diventare arbitro, era stato insegnante, propose l’idea ai vertici della FIFA, che ne sperimentarono l’applicazione durante il Campionato del mondo del 1970 in Messico, esattamente cinquanta anni fa. Per la cronaca, il primo giocatore a essere ammonito fu il giocatore russo Kakhi Asatiani, durante Messico-Russia. Per la prima espulsione, bisognerà invece attendere il Campionato del mondo successivo in Germania: la “vittima” fu il cileno Carlos Caszely.
Da allora, i due colori sono diventati talmente familiari per chi ama il calcio che sembra quasi impossibile che ci sia stata un’epoca precedente alla loro introduzione.
Qual è il futuro del giallo e del rosso? Una proposta è quella di aggiungere un terzo cartellino, di colore arancione, per sanzionare con una espulsione a tempo situazioni più gravi del giallo, ma meno gravi del rosso. Se ciò avverrà, è probabile che la novità sarà vissuta con una certa resistenza iniziale. Se poi la novità diventerà permanente, è probabile che i tifosi del futuro si domanderanno come sia stato possibile un calcio precedente con soli due cartellini a disposizione degli arbitri.