Quali sono le conseguenze di un virus? Che cosa succede a una società colpita da un’epidemia mortale? È vero che non si sarà più gli stessi, che la vita cambierà per sempre e che non si potrà mai tornare alla situazione ante-morbo? Il sistema capitalistico in cui viviamo è attrezzato per superare un crisi non economica, ma dalle inevitabili ripercussioni economiche? E come la mettiamo dal punto di vista storico, demografico, sociologico, psicologico, morale, esistenziale?
Secondo alcuni catastrofisti, le conseguenze dei colpi del Covid-19 sulla nostra società saranno disastrose. Dovremo aspettarci disoccupazione di massa, recessione costante, il crollo di imprese, borse e dell’economia in generale, criminalità e violenze dilaganti, disordini di ogni tipo, degrado psicologico, morale e intellettuale, disgregazione sociale di ogni genere. Saremo tutti più cattivi, più disperati, più violenti, più depressi e più affamati.
Secondo altri, invece, il virus ci farà scoprire cose che avevamo dimenticato: l’importanza delle relazioni umane, l’empatia, la tenerezza, la capacità di immedesimarci nella sofferenza degli altri. Riscopriremo l’importanza della famiglia, del lavoro, degli amici, dell’amore, dei sentimenti; della fragilità, della malattia e della salute. L’economia, dopo una fase di incertezza, si riprenderà e sarà più efficiente di prima, nasceranno nuove opportunità lavorative, riscopriremo nuovi settori di occupazione, investiremo nella sanità pubblica e nel terzo settore, le politiche sociali torneranno a essere prioritarie. Perfino la religione sarà diversa: meno formale, meno liturgica e più attenta ai bisogni concreti delle persone.
Al di là del segno da attribuire ai cambiamenti, una cosa sembra certa: le cose saranno diverse. Almeno per un po’. Il tempo di riprendere le vecchie abitudini. O forse no. Saranno diverse per molto tempo, per un tempo che attualmente non siamo nemmeno in grado di immaginare.
Il Covid-19 ha imposto agli individui la partecipazione a una sorta di esperimento sociologico, la cui ipotesi di partenza non è chiara e le cui conseguenze appaiono ancora più opache. Ad esempio, quali saranno gli effetti del social distancing? Svilupperemo un sospetto permanente nei confronti del prossimo, tanto che la distanza di un metro diventerà la bolla di prossimità standard nelle relazioni sociali? Saremo tutti ossessionati dsagli effluvi emanati da bocche e narici altrui? La psichiatria conierà nuovi termini diagnostici per descrivere le nuove turbe della mente? Oseremo toccare le cose come abbiamo fatto in passato o avvertiremo un immediato senso di contaminazione a cui potremo rispondere solo lavandoci compulsivamente le mani? Diventeranno normali la rupofobia (“fobia dello sporco”) e la sindrome di Pilato o di Lady Macbeth? Andremo in ansia al minimo sfioramento con uno sconosciuto? Come cambieranno i nostri standard igienici e sanitari? Guanti e mascherine diventeranno ornamenti ordinari delle nostre persone, magari dopo essere stati personalizzati e griffati da celebri designer?
Come cambierà la frequentazione di bar, pub, ristoranti, palestre, parrucchieri e musei? Ci abitueremo a forme di scaglionamento quotidiane in base alla metratura? Saremo costretti a prenotare ogni nostro impegno, visita o gesto di consumo su una app dedicata in modo da evitare il pericolo del sovraffollamento (concetto comunque da ripensare e ridimensionare rispetto a qualche mese fa)? Dovremo abituarci a barman in mascherina perpetua? Dimenticheremo l’odore del sudore altrui perché, in palestra, eseguiremo i nostri esercizi a “distanza di sicurezza”?
Il lavoro come lo conosciamo subirà una domiciliarizzazione crescente? Quanti “lavoratori agili” torneranno in ufficio o in azienda? Il telelavoro diventerà la modalità ordinaria di lavorare? Le nostre case si trasformeranno in cubicoli ergonomici strutturali? E come impatterà tutto questo sulla nostra vita privata? La maggiore sedentarietà conseguente impatterà sulle nostre condizioni fisiche e mentali?
Scuole e università abdicheranno definitivamente alle lezioni in presenza a favore di forme di FAD sempre più sofisticate? La didattica come la conosciamo ne risulterà stravolta? Come usciranno dal virus i concetti di “apprendimento”, “lezione”, valutazione”, “esame”? Quale sarà il valore globale del mercato dell’istruzione virtuale? Gli insegnamenti saranno sempre più connessi, digitali, virtuali? O verrà a crearsi un ibrido tra online e offline, tra lezione in streaming e lezione in aula? Dovremo riscrivere definitivamente la storia della pedagogia?
Il commercio elettronico soppianterà definitivamente, o almeno in gran parte, il commercio nei supermercati, nei negozi, nelle librerie, nelle edicole, nei centri commerciali? Acquisteremo sempre più cibo, borse e scarpe online? I nostri unici contatti con i produttori di merci saranno attraverso, corrieri, fattorini e rider? Il negozio abituale chiuderà i battenti per sempre convertendosi, se ci riesce, in spazio virtuale? Dovremmo attenderci una recessione più preoccupante di quella del 2008 con conseguenze devastanti sul tasso di occupazione? E se crollasse l’intero sistema capitalistico?
Cinema e teatri cederanno definitivamente il passo a film, serie tv, documentari e rappresentazioni da piattaforme dedicate e palcoscenici virtuali? Le partite di calcio avranno luogo in stadi senza pubblico, ma colmi di videocamere e microfoni e ricolmi di echi che impareremo a distinguere? Che cosa ne sarà del tifo? Gli ultras esisteranno ancora? Si organizzeranno in altro modo? Dovremo abituarci a vedere film e partite da soli o, al più, con familiari e amici?
In politica, si affermeranno sempre più movimenti nazionalisti e antieuropeisti, convinti che “è meglio cavarsela da soli che aspettare aiuto dagli altri”? La democrazia diventerà un concetto fuori moda a tutto vantaggio di ritorni a interpretazioni dittatoriali, se non solipsistiche, della cosa pubblica? Le migrazioni saranno percepite come ancora più minacciose (i migranti non solo “invasori”, ma anche possibili, nuovi “untori”)? Il sovranismo egoistico e intollerante diventerà la maniera ordinaria di intendere la politica? I partiti politici subiranno un mutamento epocale? Le piazze saranno solo virtuali?
Come cambieranno i rapporti amicali, familiari e sentimentali? Ad esempio, quali saranno le conseguenze delle “convivenze forzate” della quarantena? Le coppie scoppieranno come mai prima o riscopriranno forme di vita che pensavano di avere perso? Prevarrà la monogamia a scapito dell’adulterio o, viceversa, il tradimento sarà la risposta a mesi di insopportabile coabitazione? Che effetti avranno sul modo di intendere l’amicizia e l’amore mesi di isolamento coatto? Proveremo vertigine e confusione quando usciremo di casa, un po’ come succede a chi è costretto in stato di detenzione carceraria per mesi e anni? Aumenterà la diffidenza anche nei confronti di chi conosciamo, perché in ognuno potrebbe annidarsi silente un virus o germe pronto a riesplodere ancora più letale quando meno ce lo aspettiamo? Oppure ci daremo alla pazza gioia, incuranti di tutto, come Giovanni Boccaccio disse che accadde a Firenze ai tempi della peste del 1348?
Come cambierà infine la criminalità? Ritornerà quella di prima o sarà completamente trasformata dal virus e dalle sue conseguenze? I criminali saranno più incattiviti e arrabbiati? Il collasso dell’economia e della politica stravolgerà in senso negativo la società favorendo livelli di criminalità inusitati? Le carceri scoppieranno per le inevitabili politiche penitenziarie repressive? Dilagheranno truffatori e affaristi senza scrupoli? La criminalità organizzata prenderà il sopravvento sulla società civile? E come si trasformeranno le forze dell’ordine?
Ogni ipotesi sul futuro della nostra società dopo il Covid-19 è destinata ad avere una conferma o una smentita solo tra qualche mese o anno. Inevitabilmente. Nel frattempo possiamo solo accumulare congetture, opinioni, riflessioni, fantasie. Un’alternativa è quella di tentare di comprendere il futuro tramite analogie, comparazioni, parallelismi.
È quello che fece nel 1921 il sociologo James Westfall Thompson in un articolo poco noto dal titolo The Aftermath of the Black Death and the Aftermath of the Great War nel quale le conseguenze politiche, economiche, sociali e psicologiche della Prima guerra mondiale sono paragonate a quelle della Peste nera del 1348-1349. L’analogia costituisce da tempo una modalità di conoscenza nelle scienze sociali e storiche e si rivela un metodo fruttuoso sia per costruire teorie che abbiano l’ambizione di cogliere la realtà, sia per esplorare dimensioni non conosciute o inconoscibili sia ancora per tentare di anticipare il prossimo futuro.
Thompson era convinto che la Grande guerra avesse prodotto delle conseguenze simili a quelle prodotte dal morbo del 1348:
Il caos in cui versa oggi il mondo ci fornisce una rappresentazione dello stato dell’Europa della metà del quattordicesimo secolo molto più valida di qualsiasi altra. È sorprendente osservare la somiglianza tra i problemi di oggi e quelli dell’epoca della Peste nera: caos economico, disordini sociali, inflazione, affarismo, depravazione dei costumi, produzione insufficiente, inoperosità industriale, gioia frenetica, spese folli, sfarzo, dissolutezza, isteria sociale e religiosa, avidità, cupidità, malgoverno, corruzione dei principi morali.
Nel corso dell’articolo, Thompson offre una costante lettura parallela dei due periodi storici, esplicitandone somiglianze (soprattutto) e differenze. Il quadro che ne risulta è estremamente interessante e proficuo e stimola in noi una domanda di fondo: quando l’emergenza Covid-19 sarà terminata a quale periodo storico assomiglierà quello che seguirà la sconfitta (si spera) del Coronavirus? Assomiglierà a un periodo post-bellico o si ritornerà rapidamente alla normalità ante-virus? Che cosa è successo in altri momenti storici che ricordano il nostro? Qual è il periodo storico di raffronto più appropriato?
Non si tratta di un esercizio intellettuale fine a se stesso, ma di una modalità, fra l’altro, per tentare di prevedere che cosa accadrà da qui a qualche mese o anno. Un esercizio che potrebbe avere anche un’utilità pratica: se infatti altri periodi storici hanno attraversato quello che stiamo attraversando noi, potremmo fare in modo da promuovere azioni positive funzionali a un immediato ritorno alla normalità ed evitare condotte negative, traendo spunto dalle lezioni della storia. Per quanto sia vero, come ricorda Thompson, che la storia non si ripete mai, pure essa può elargirci insegnamenti utili a condurre la transizione alla normalità nella migliore maniera possibile.
La lettura dell’articolo di James Westfall Thompson – qui proposta per la prima volta in italiano – può, dunque, stimolare maieuticamente la produzione di un pensiero costruttivo, sociologicamente utile ad affrontare le conseguenze del presente stato di crisi. Un modo nuovo per pensare la sociologia in chiave non solo di strumento di comprensione della realtà, ma anche di immaginazione di mondi a venire.