«Comprendiamo allora che la ricerca della salute è oggi, e dovette essere, all’origine della civiltà, uno degli elementi primari, forse il primario, per la nascita delle religioni, anzi della religione» (Vittorio Lanternari, 1995, “Religione, malattia, guarigione: abbozzo storico e transculturale”, in Vittorio Lanternari, 1997, Antropologia religiosa. Etnologia, storia, folklore, Edizioni Dedalo, Bari, p. 208).
Questa osservazione mi è sempre sembrata tanto vera quanto incredibilmente trascurata. Le persone spesso si rivolgono alla religione quando le loro condizioni di salute sono compromesse o destano in loro preoccupazioni che la scienza e la tecnologia non riescono, almeno psicologicamente, ad acquietare. È per questo che, accanto all’ospedale e all’ambulatorio medico, convivono il taumaturgo dal rituale “infallibile” e luoghi come Lourdes o Medjugorje dove i pellegrini accorrono a frotte per guarire. Era così anche nell’antica Grecia. Come osserva ancora Lanternari: «Se da un lato l’antica Grecia diede nascita alla prima scienza medica con la scuola d’Ippocrate (V-IV sec. a.C), dall’altro sappiamo che larga diffusione ebbero, presso i ceti sociali e culturali più diversi, sistemi medici implicanti processi diagnostici, eziologici e terapeutici che si collocano interamente nella categoria del «religioso»» (p. 205).
Anche nell’antica Grecia e a Roma esistevano luoghi paragonabili a Lourdes e Medjugorje:
Asclepio, originariamente un «eroe» mitico dalla natura semidivina, divenne oggetto di culto come vera divinità, cui erano consacrati templi in più luoghi: più importante quello di Epidauro in Argolide, poi a Coos e altrove; templi che erano meta di pellegrinaggi, a Epidauro in particolare, al modo di una Lourdes di oggi. Accorrevano folle di pellegrini, postulanti la guarigione dai mali più diversi. Depositavano degli ex-voto attestanti fino ad oggi le guarigioni ottenute. Dagli ex-voto e dalle iscrizioni reperite sul posto infatti abbiamo oggi notizia diretta delle guarigioni «miracolose» verificate nei templi di Asclepio. Abbiamo le tavole in cui i sacerdoti del tempio registrarono per iscritto i vari casi nosologici presentatisi.
Ma bisogna ricordare in qual modo il paziente agiva per ottenere l’intervento soccorrevole del dio per la sua infermità. Egli doveva sacrificarsi offrendo una vittima in onore del dio. Poi, trascorrendo una o più notti nel tempio, egli dormiva, sognava, finché riceveva un sogno, poi interpretato dal sacerdote-divinatore come responso del dio. Orbene, a definire e tradurre i segni contenuti nel sogno del malato, era addetto il sacerdote del tempio, precisamente esperto nella pratica della divinazione. La pratica, nel suo insieme nota col nome di «incubazione» dal latino incubatio, corrisponde alla medesima pratica portata dalla Grecia a Roma, per i pellegrini che si recavano al tempio del dio romano della salute, Esculapio. Il divinatore desumeva dunque dai sogni dell’incubante, il responso oracolare dell’aiuto divino per guarire (p. 206).
L’atteggiamento degli antichi non è per nulla dissimile dal nostro:
Comunque possiamo argomentare che la Grecia ci offre un panorama di comportamenti sul piano medico-terapeutico, che contempla la simultanea concomitanza di un’attitudine alla dimensione scientifica, con quella volta alla tradizione prescientifica. Dunque troviamo un lontano modello di dualistico orientamento, quale riscontriamo oggi, oltre due millenni più tardi, nella civiltà più avanzata e spregiudicata, la nostra: cioè la compresenza della medicina scientifica con le medicine alternative a base di pratiche magiche (scongiuri, amuleti, formule), di riti religiosi, di interventi carismatici. Anche la medicina dell’antica Roma si apriva ai criteri razionalisti d’Ippocrate ripresi da Galeno (sec. Il d.C), ma insieme seguì le terapie magiche, nonché il culto di Asclepio-Esculapio, trapiantato dalla Grecia (291 a.C.) per una grave epidemia (p. 207).
Per noi Lourdes e Medjugorje sono come i templi di Asclepio-Esculapio. La differenza è che non sentiamo il bisogno/desiderio di compiere sacrifici, né che qualcuno eserciti pratiche simili all’incubatio. Ci basta andare, viaggiare e augurarci di guarire. Ma perché persistono questi atteggiamenti dualistici? Ancora Lanternari:
Nonostante il grado di compiuta «modernizzazione» degli stili di vita, dunque, riaffiora nella nostra civiltà secolarizzata, scientifica, criticamente aperta, questo irresistibile bisogno di volgersi al «religioso» come fondamento più garantito di guarigione dal malessere che pervade insidiosamente l’esperienza del vivere oggi, per gran parte della popolazione, al di là di singole più o meno gravi e ben definite infermità individuali (p. 208).
In un mondo in cui tutte le malattie fossero sparite, ci sarebbe ancora spazio per la religione? Un interrogativo destinato, almeno per il momento, a rimanere ozioso perché siamo lontani dall’aver piegato tutte le patologie. Probabilmente però la risposta è sì perché alla religione ci si rivolge per tanti motivi. A volte anche solo per una inquietudine dell’anima.